E le Regioni fanno «spese spaziali», a Parigi

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Lo slogan dice: «Per rafforzare il Made in Piemonte nel mondo». Il Made in Piemonte? Proprio così. Questa  è la missione del Centro estero per l’internazionalizzazione. Come stupirsi, allora, davanti a uno stand del Ceipiemonte all’Air Show di Le Bourget, Parigi? E passi che sia anche quello uno dei tanti organismi pubblici regionali. Quando all’estero c’è  da mostrare i muscoli, la Regione Piemonte non si è mai tirata indietro. Sinistra o destra, non fa differenza. La precedente amministrazione della democratica Mercedes Bresso seguiva con affetto ed entusiasmo le imprese dei piloti piemontesi in MotoGp, tanto da presentarsi con un proprio spazio espositivo al Gran Premio di Turchia del 2005?

L’attuale governatore leghista Roberto Cota ha scatenato un’offensiva senza precedenti nel settore aerospaziale. Per apprezzarne la portata è sufficiente scorrere la lista degli espositori al salone parigino che si è appena concluso. Dove non mancava, appunto, la Regione Piemonte. Ma anche il suddetto Ceipiemonte. E la finanziaria regionale Finpiemonte. Poi la Camera di commercio di Torino, che di Finpiemonte è anche azionista. Il Politecnico di Torino, che partecipa a una società con Finpiemonte. Nonché Torino Piemonte aerospace, ovvero «un progetto della Camera di commercio di Torino gestito da Ceipiemonte al servizio delle imprese piemontesi eccellenti della filiera aeronautica», spiega il sito Internet. Per un totale di sei — soggetti pubblici — sei.

Sbaglierebbe, però, chi pensasse a un’esperienza unica. Nell’elenco degli espositori italiani a Le Bourget, accanto all’Università di Perugia, figura infatti lo stand dell’Umbria trade agency, o Centro estero Umbria. Di che cosa si tratta? È un organismo costituito dalla Regione Umbria nel 2009 insieme alle Camere di commercio di Perugia e Terni, per promuovere «l’internazionalizzazione delle imprese umbre». Una specie di Ice regionale, insomma. Peccato che al salone parigino ci fosse anche uno stand di Umbra aerospace, l’associazione delle imprese di settore che ha come «partner istituzionali» tanto la Regione Umbria quanto L’Umbria trade agency. Poco male. Melius abundare.

Del resto, si sarebbe potuto rinunciare a una presenza all’Air show della «Apulia Region» (Regione Puglia) causa presenza a poca distanza di un padiglione Alenia aeronautica del gruppo Finmeccanica, che ha stabilimenti a Foggia, Brindisi e Grottaglie, in Provincia di Taranto? «Stimolare i processi di innovazione e competitività nel settore aerospaziale pugliese con un attenzione particolare per la formazione: questo l’obiettivo della partecipazione della Regione Puglia» secondo il sito Puglialive.net. Un salto di qualità rispetto a quando gli assessori regionali, come l’ex vicepresidente della Giunta pugliese Sandro Frisullo, nel 2007, si limitavano alle «visite istituzionali» al salone dell’aeronautica. Ma ancora ben distante dalle vette toccate da alcuni enti come la Regione Lazio, che nel 2005 contribuì al finanziamento della missione spaziale Soyuz con a bordo il cosmonauta viterbese Roberto Vittori e un seguito di prodotti tipici laziali: dalle olive di Gaeta al pecorino della Sabina. Un accoppiamento, quello fra le stelle e le prelibatezze alimentari, sperimentato anche dalla Regione Campania nell’ottobre 2011 al Congresso internazionale di astronautica di Cape Town, in Sudafrica. Nell’ambito del programma «Campaniaerospace».

Da quando le Regioni hanno preso a gestire valanghe di denaro, la tentazione di comportarsi come Stati sovrani è stata inarrestabile. Ecco allora le ambasciate regionali, gli assessorati all’internazionalizzazione (ce l’ha, per esempio, la Regione Calabria), le agenzie di promozione all’estero, fino all’esplosione di una selva di surreali marchi territoriali: Made in Piemonte, Made in Lombardy… Alcuni finiti sotto la tagliola della Consulta, che nel luglio del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge della Regione Lazio approvata durante la giunta di Renata Polverini che aveva istituito un elenco di prodotti «Made in Lazio» realizzati con materie prime laziali.

Una corsa a perdifiato, nell’indifferenza istituzionale più assoluta. Non sono riusciti ad arginarla né i governi che da vent’anni a questa parte si sono alternati alla guida del Paese, tantomeno i politici locali. Nel 2010 il ministro dell’Economia Giulio Tremonti fece il conto, scoprendo che fra ambasciate, consolati, uffici di promozione, antenne commerciali e punti d’appoggio, le Regioni italiane potevano contare su 178 sedi estere. Il solo Piemonte poteva contare su 23 basi oltrefrontiera, attivate da «accordi con realtà locali», rispose così a Monica Guerzoni del «Corriere» l’assessore della giunta di Roberto Cota, Elena Maccanti, proprio grazie al Ceipiemonte. Nell’elenco, Corea del Sud, Lettonia, Costa Rica… Una trentina, invece, quelle della Lombardia: dal Brasile alla Cina, passando per Russia, Israele, Giappone, Perù, Uruguay, Polonia, Moldova, Kazakistan. Mentre la Regione Lazio poteva contare su un contact point a Bucarest, Romania. Il sito dice che c’è tuttora un consiglio di amministrazione di tre persone, una struttura tecnica con un direttore e tre dipendenti oltre a quattro consulenti. Ben 21 sedi delle Regioni italiane erano poi nella sola Bruxelles, dove l’ex viceministro Adolfo Urso avrebbe voluto razionalizzarne la presenza, concentrandole almeno tutte nello stesso luogo fisico, una specie di «Palazzo Italia». Com’è andata a finire? Indovinate…

Sergio Rizzo


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