Riforme, il Pdl vuole includere la giustizia Il Pd denuncia: accordi traditi, è pirateria

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ROMA — È una questione di porte platealmente aperte, appena socchiuse o addirittura chiuse. Pd e Pdl avevano concordato di lasciare fuori la giustizia e i magistrati dal perimetro delle riforme costituzionali ed ecco perché un emendamento presentato al Senato dall’espertissimo Donato Bruno fa divampare un incendio nella maggioranza. Il Pdl, dunque, intende allargare i confini del testo del governo — quello che modifica l’articolo 138 e vara la commissione dei 40 incaricata di intervenire sui titoli I, II, III e V della seconda parte della Costituzione — facendo riferimento a tutti i titoli della seconda parte della Carta. Ma questo vuol dire, controbatte il Pd, spalancare la porta sulle riserve che erano ritenute, per comune accordo, intoccabili: gli assetti della magistratura, l’organo di autogoverno delle toghe (il Csm), la Corte costituzionale, le garanzie Costituzionali. Anche i titoli IV e VI della Carta, dunque, dovrebbero subire robuste modifiche, propone il Pdl.

«È bene che il capitolo giustizia non sia incluso nelle riforme costituzionali», avverte invece il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda. Che aggiunge: «Il ddl è stato approvato dal consiglio dei Ministri, alla presenza del segretario del Pdl Alfano. La delimitazione della materia da riformare, dunque, deve considerarsi già definita». Il Pdl, tuttavia, pur con una mossa tattica a ridosso della sentenza Ruby molto sfavorevole per Berlusconi, pone un problema tecnico legislativo, osserva il capogruppo Renato Schifani: «Quando si modificano parti importanti della Costituzione, ci sono necessariamente delle ricadute tecniche su taluni organi giudiziari costituzionali e di rilevanza costituzionale».

Ma siccome l’emendamento del Pdl costituirebbe un’autostrada in direzione degli assetti della giurisdizione, l’Associazione nazionale magistrati ha già messo sul chi vive il Parlamento: «L’attuale titolo IV della Costituzione disegna un’architrave che garantisce l’autonomia della Giurisdizione, è un principio che non va toccato perché è garanzia per il cittadino». Seguono poi tutte le opposizioni: «È un fatto pericoloso», tuona Loredana De Petris (Sel) mentre Antonio Ingroia (Azione civile) riporta alla luce il «progetto della P2 di controllare la magistratura».

Prova a spegnere l’incendio il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello: «È esigenza condivisa che eventuali correlazioni che dovessero cadere al di fuori delle materie indicate nel ddl possano esser affrontate dal Parlamento». Dunque, si socchiuda quella porta sui titoli IV e VI, pare dire il ministro. E anche al secondo piano del Senato, dove sia affaccia la commissione Affari costituzionali presieduta da Anna Finocchiaro (Pd), si intuisce che tutto potrebbe essere risolto con l’emendamento Lo Moro (Pd) che fa solo riferimento ad altri articoli strettamente connessi a quelli modificati.

Il testo andrà in Aula al Senato l’8 luglio mentre la commissione alla Camera avrà meno di due settimane per cogliere l’appuntamento con l’Aula di Montecitorio, fissato per il 29 luglio. M5S, Sel, Fratelli d’Italia e Lega insorgono per la corsa contro il tempo con grande disappunto del ministro Franceschini: «L’opposizione frena sul ddl». Il Quirinale segue con attenzione anche questi primi passaggi della riforma costituzionale. E annuncia che il capo dello Stato ha nominato consigliere per gli affari dell’amministrazione della Giustizia il dottor Ernesto Lupo, già primo presidente della Corte suprema di Cassazione.


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