by Sergio Segio | 26 Giugno 2013 14:04
Cosa è l’F-35?
L’F-35 Lighting (fulmine) è un caccia di quinta generazione, l’unico concepito dopo la fine della Guerra Fredda. E’ stato disegnato per essere invisibile ai radar e operare in rete con altri sistemi d’arma. La velocità massima sarà di circa 1,6 volte quella del suono e potrà manovrare con carichi di gravità pari a 9,9 volte la gravità terrestre. I comandi sono tutti su schermi digitali con comandi touch.
A cosa serve?
E’ un aereo d’attacco al suolo, con un sistema di sensori avanzatissimo che dovrebbe permettergli di compiere qualunque missione. E’ armato con un cannone da 25 millimetri e due stive ventrali per trasportare bombe o missili. Può inoltre essere dotato di cinque piloni per armi e altri due per missili alle estremità delle ali. Il tutto per un carico bellico di 8100 chili di bombe e missili. La versione F-35 B sarà in grado di decollare verticalmente dalle navi: sarà l’unico aereo disponibile con questa caratteristica.
Chi lo produce?
Il progetto è in mano alla Lockheed Martin, il colosso statunitense degli armamenti. I paesi che hanno aderito al programma chiamato inizialmente Joint Strike Fighter hanno ottenuto una partecipazione allo sviluppo proporzionale all’investimento. La Gran Bretagna è partner di primo livello, con circa 2,5 miliardi di dollari, con un ruolo chiave dell’industria Bae. L’Italia è partner di secondo livello, con una spesa prevista di circa un miliardo di dollari, assieme all’Olanda, circa 800 milioni. Nel terzo livello sono inclusi Canada, Australia, Norvegia e Danimarca.
Quanto costa il programma?
La stima iniziale era di 40 miliardi di dollari, in massima parte a carico degli Usa, le ultime previsioni calcolano un costo di sviluppo superiore a 56 miliardi. Gli Stati Uniti contavano di acquistarne in futuro 2400 con una spesa di 200 miliardi di dollari. Il piano iniziale prevedeva di costruirne 3100 includendo i paesi partner e altri compratori come Turchia, Singapore, Israele e Giappone, ma molti hanno già ridotto le previsioni. E la politica di tagli al budget della difesa voluta dalla presidenza Obama potrebbe far calare anche gli ordini statunitensi.
A che punto è il progetto?
Il primo F-35 ha volato il 15 dicembre 2006. I voli operativi d’addestramento sono cominciati nello scorso gennaio. Finora le forze armate americane ne hanno ricevuti 69 ma tutti dovranno essere aggiornati nei prossimi anni per diventare pienamente operativi.
Che problemi sono emersi?
Contrariamente ai velivoli del passato, non ci sono stati prototipi su cui perfezionare la progettazione. Per ridurre tempi e costi, il velivolo è stato testato virtualmente con elaboratori elettronici. Ma i problemi non sono mancati e il programma ha accumulato ritardi importanti. Il software per le versioni operative, da cui dipendono tutte le attività, è ancora in fase di sviluppo: non sarà pronto prima di due anni. Forti difficoltà anche nella progettazione del casco, uno dei punti chiave del sistema F-35, che permetterà di visualizzare i dati di volo e puntare l’armamento tramite gli occhi del pilota.
Quali sono le critiche tecniche al progetto?
I piloti collaudatori, tutti americani o britannici, hanno criticato soprattutto la scarsa visibilità posteriore: non si vedono avversari alle spalle. Un problema che dovrebbe essere risolto dai sensori tv che coprono il velivolo come una sfera. Critiche anche al sistema anti-incendio e alla protezione contro i fulmini. Alcuni piloti hanno messo in dubbio anche la capacità di sopravvivere ai tiri della contraerea. La Marina statunitense ha contestato dimensioni e prestazioni della versione imbarcata. Nel settembre 2012 il Pentagono, stanco per ritardi e inconvenienti, è intervenuto con durezza contro la Lockheed, chiedendo risposte rapide e “commissariando” lo sviluppo del programma.
Quanto costano gli F35?
Il prezzo di ognuno dei primissimi esemplari è cresciuto fino a 207 milioni di dollari contro gli 89 milioni preventivati dalla Lockheed. Nel 2010 la stima era di 133 milioni. Oggi il prezzo dovrebbe essere di circa 120 milioni ma il Pentagono insiste perché venga ridotto sotto i cento. La Lockheed sostiene che nel 2018 un F-35 verrà 67 milioni di dollari, motore incluso. Si ritiene che ogni ora di volo verrà a costare circa 25 mila dollari. Il problema sarà la spesa per l’aggiornamento. Come in un sistema informatico, ogni velivolo dovrà ricevere un pacchetto di software e componenti per arrivare alla versione definitiva. Il cui prezzo non è ancora stato ipotizzato.
Quanto costerà tenerli in servizio?
Le stime per la vita operativa, ossia il prezzo di ricambi, manutenzioni e aggiornamenti tecnici, dell’intera flotta di F-35 statunitensi per i prossimi 50 anni sono di 1510 miliardi di dollari, pari a 618 milioni per ogni aereo. Altri paesi come la Norvegia credono invece che per ogni singolo velivolo si spenderanno 769 milioni di dollari. La Marina americana reputa questi costi superiori di 442 miliardi rispetto alle previsioni. Il Pentagono ha minacciato che se queste stime non verranno ridotte toglierà alla Lockheed il controllo delle forniture di ricambi.
Chi ha deciso l’impegno dell’Italia?
Il primo memorandum è stato firmato dal ministro della Difesa Beniamo Andreatta del governo Prodi nel 1998 con un investimento limitato a 10 milioni di dollari. La decisione di entrare nel programma di sviluppo con la spesa di un miliardo di dollari è stata presa dal governo Berlusconi nel 2002. Gli accordi operativi per la produzione e la costruzione della fabbrica italiana di assemblaggio sono opera del governo Prodi nel febbraio 2007 e nell’aprile 2008.
Cosa significa la partecipazione italiana?
Con la scelta di entrare nel programma F-35 l’Italia ha rinunciato ai grandi programmi di collaborazione aeronautica europea, come il Tornado – realizzato negli anni ’70 con Germania e Gran Bretagna – e nel decennio successivo l’Eurofighter Typhoon, progettato dagli stessi paesi assieme alla Spagna. Una scelta che conferma la linea inaugurata dal governo Berlusconi nel 2002 rinunciando al programma di un aereo da trasporto militare europeo in favore del Lockheed C130J.
Perchè l’Italia ha scelto l’F-35?
La decisione è stata stata sostenuta soprattutto dai militari, con il sostegno di un partito trasversale nel centrodestra e nel centrosinistra. Per la Marina è una scelta obbligata: è il solo aereo a decollo verticale sul mercato e quindi l’unico che può operare dalle nostre piccole portaerei Garibaldi e Cavour. L’Aeronautica ritiene che si tratti del migliore velivolo disponibile per le missioni d’attacco.
C’erano alternative all’F-35?
Alenia (Finmeccanica) ha offerto una variante da attacco al suolo del caccia intercettore Eurofighter Typhoon, già in servizio con le nostre forze armate. Una prospettiva respinta dall’Aeronautica perché l’Eurofighter un velivolo di vecchia generazione e avrebbe avuto costi comunque alti. Inoltre già oggi la prima serie in servizio dell’Eurofighter è così diversa dalle ultime due da avere pochi elementi in comune. Piuttosto che spendere per aggiornarla, l’Aeronautica intende toglierla dai reparti.
Quanti ne comprerà l’Italia?
Nel 2009 il governo aveva deciso l’acquisto di 131 F-35 con un costo stimato di 12,9 miliardi di euro. L’anno scorso sono stati ridotti a 90: 60 nella versione A e 30 nella versione B a decollo verticale (15 per l’Aeronautica e 15 per la Marina). L’assemblaggio del primo comincerà a luglio: l’ingresso in servizio è previsto per il 2015 nel 32mo stormo di Amendola (Foggia). L’ultimo dovrebbe arrivare nel 2027.
Cosa sostituiranno?
Con i 90 F-35 l’Italia rimpiazzerà tutti i cacciabombardieri Tornado e Amx dell’Aeronautica e gli Harrier a decollo verticale della Marina. Attualmente si tratta di circa 140 aerei ancora in servizio operativo: ciascuno ha costi di gestione molto più alti di quelli previsti per l’F-35.
Quanti ordini ha firmato l’Italia?
Finora gli ordini firmati riguardano solo 3 aerei del lotto di produzione sesto, mentre l’Italia si prepara a firmare il contratto per altri tre del settimo lotto. Nell’immediato futuro ne sono previsti quattro dell’ottavo lotto.
L’Italia può uscire dal programma?
Il nostro paese non è formalmente vincolato ad altri acquisti. Uscire dal programma significherebbe perdere i fondi investiti nello sviluppo e soprattutto quelli spesi per costruire l’impianto di assemblaggio italiano: una cifra globale vicina ai due miliardi di euro. Resterebbe il problema di trovare un rimpiazzo per la flotta di cacciabombardieri, usati dal 1991 nelle operazioni internazionali in Iraq, Bosnia, Kosovo, Libia ed Afghanistan.
Perché l’Italia ha scelto di costruire una fabbrica per gli F-35?
L’Italia è l’unico partner europeo che ha deciso di costruire un impianto per assemblare gli F-35 utilizzando componenti prodotte altrove. La fabbrica chiamata Faco è stata completata nella base militare di Cameri (Novara) a spese del governo. Il costo è stimato dalla rivista Aviation Week in un miliardo di dollari. Lo stabilimento è stato realizzato ipotizzando la costruzione di 250 F-35, inclusi 131 per l’Italia e 85 per l’Olanda. Solo con questi numeri si rientrerà dell’investimento. Ma l’Italia li ha già ridotti a 90 e l’Olanda ha ritardato l’acquisto in attesa che siano pronte le versioni operative mentre pensa di limitare l’ordine a soli 50. Eventuali altri compratori invece dovranno trovare più conveniente far assemblare gli F-35 nell’impianto piemontese e non dalla Lockheed.
Quanto lavoro creerà in Italia?
Le forze armate ritengono che si potranno creare 10 mila posti di lavoro e ci sarà una ricaduta per le aziende italiane pari a 18,6 miliardi di dollari. Queste stime si basano però su una produzione a Cameri di 250 velivoli e sulla prospettiva che altri acquirenti dell’F-35, ad esempio la Turchia e Israele, affidino allo stabilimento piemontese la manutenzione dei loro caccia. Al momento non ci sono accordi firmati. Lockheed invece ha prospettato una ricaduta per l’Italia pari a 9 miliardi di dollari, senza calcolare l’attività di supporto e manutenzione, più altri quattro miliardi di dollari da assegnare.
Le ricadute occupazionali per l’Italia sono garantite?
Contrariamente ai programmi del passato, per l’F-35 non ci sono accordi scritti che garantiscono all’Italia un carico di lavoro in cambio dell’acquisto degli aerei. Lockheed ha assegnato all’Alenia la produzione di parte delle ali ma ogni fornitura deve rispondere a requisiti di qualità e convenienza. I vertici della Difesa ritengono che questo obbligherà Alenia a uscire dal mercato protetto dei vecchi contratti e la spingerà ad essere più competitiva. Il rischio è che le nostre aziende si trovino a lavorare in perdita o rinunciare ai contratti per effetto della concorrenza americana o di altri produttori.
Quali altre aziende italiane sono coinvolte?
Oltre ad Alenia, Selex, Aerea, Secondo Mona e Sirio Panel stanno producendo componenti dell’F-35 per conto di Lockheed.
Quali sono i vantaggi tecnologici per l’Italia?
Gran parte degli esperti ritengono che siano limitati. Gli ingegneri italiani che hanno partecipato alla progettazione sono pochi e hanno avuto un ruolo marginale. Il Pentagono ha riconosciuto che gran parte delle informazioni tecniche sono state tenute segrete anche ai paesi partner. L’attività nello stabilimento di Cameri sarà essenzialmente di assemblaggio, senza sviluppo di tecnologie autonome.
Gli aerei italiani saranno al livello di quegli americani?
Il programma prevede versioni di software diversi tra gli F-35 per gli Stati Uniti e quelli destinati agli altri paesi. Poiché la progettazione del software non è ancora stata completata, è difficile stabilire quali saranno le differenze e le limitazioni operative: il pacchetto destinato anche all’Italia sarà pronto solo nel 2016.
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