La scure dei giudici sul voto delle minoranze “È una norma superata”

by Sergio Segio | 26 Giugno 2013 6:32

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NEW YORK — La settimana più calda della Corte Suprema vive il suo primo sussulto: i giudici colpiscono al cuore uno dei punti chiave del Voting Rights Act che nel 1965 fu il primo approdo concreto delle battaglie civili di Martin Luther King per i diritti degli afroamericani. Nel mirino la sezione 4 della legge, quella che obbliga nove Stati in prevalenza del Sud, dall’Alabama al Mississippi, dal Texas alla Virginia, ad avere un’autorizzazione del Congresso prima di cambiare in qualsiasi maniera il sistema elettorale.
«Una norma superata», è la tesi dei giudici di nomina repubblicana della Corte che hanno battuto i colleghi per 5 voti a 4. «Il Paese non è più quello di quarant’anni fa. Chiediamo ai politici di rivederla alla luce delle trasformazioni che ci sono state». Sembra un dettaglio e in effetti molti analisti osservano
che niente cambierà, che non avrà effetti pratici: «Il Congresso dovrà trovare in fretta una nuova intesa», ripetono i giudici favorevoli. Ma il valore simbolico è enorme. Il New York Times nella pagina dei commenti sul sito parla di «un’altra sentenza dannosa e intellettualmente disonesta». E dopo pochissimo tempo arriva anche la reazione di Obama, che rilascia un comunicato dai toni duri: «Sono profondamente deluso dalla decisione della
Corte. È una pesante battuta d’arresto sulla strada che abbiamo intrapreso nella campagna per allargare i diritti civili della nostra nazione». E poi entra nel cuore del problema: «Per circa 50 anni il Voting Rights Act è stato ripetutamente rinnovato da una larga maggioranza bipartisan ed ha aiutato ad assicurare il diritto di voto a milioni di americani ». Per lui, il primo presidente afroamericano della storia, è un colpo diretto, quasi personale. In questo secondo mandato, sballottato da mille incertezze, la difesa dei diritti civili (oltre alla politica ambientale) rimane uno dei punti cardine. Una delle poche oasi di salvezza. Tanto più che tra oggi e domani è attesa l’altra sentenza della Corte Suprema, quella sui matrimoni gay, dove il confronto tra i falchi dei due schieramenti va avanti da mesi a suon di insulti e invettive. E così Obama attacca ancora, vuole fare sentire la sua voce ai giudici: «La decisione della Corte colpisce un pilastro della legge e ribalta quell’orientamento che nel corso di molti decenni ha aiutato a rendere il voto in America più giusto, specialmente in luoghi dove la discriminazione ha storicamente prevalso». La speranza del presidente è che, almeno questa volta, il Congresso non deluda le sue speranze, come troppe volte invece sta avvenendo: «Serve subito un nuovo provvedimento bipartisan per assicurare a ogni americano giustizia e uguaglianza nel processo elettorale».
Scontate le proteste delle associazioni di diritti civili: «È un oltraggio, un tradimento». E molti ricordano i recenti casi del Texas e del South Carolina, due Stati che volevano cambiare i loro sistemi elettorali in una maniera che sarebbe risultata discriminante per le minoranze: latinos e afroamericani. «Modifiche che avrebbero potuto avere un peso sulle elezioni del 2012, cambiandone il risultato », dicono al New York Times gli avvocati delle varie associazioni. Ma molti politologi vanno più cauti. Rick Pildes, docente della New York University, spiega al Washington Post: «Ho letto alcuni siti che hanno titolato: ritorno al 1964? Sono sciocchezze. Nessuno sano di mente può pensare che ci sia un rischio che siamo sul punto di tornare al mondo che esisteva prima delle battaglie dei diritti civili». Rimane il simbolismo, che spesso in politica vale più della pratica. Aspettando le prossime mosse della Corte.

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