Napolitano: serve continuità Basta con le fibrillazioni

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ROMA — «In Italia abbiamo il record della fibrillazione politica. Magari non passano nemmeno due mesi da quando viene formato un governo che il discorso quotidiano diventa quello della prossima, o imminente, o incombente, o fatale crisi di governo… Abbiamo semmai bisogno di continuità nelle istituzioni. E vorrei che ci fosse un po’ più di continuità nell’istituzione governo».

Per qualcuno questa desolata certificazione di Giorgio Napolitano è un tentativo per blindare l’esecutivo di Enrico Letta, minacciato dall’intermittente (e appunto “fatale”) ansia autodistruttiva che inquina il clima di Montecitorio, specialmente ogni volta che si ripropone il conflitto tra politica e giustizia. Per altri è l’ennesimo monito (non a caso declinato all’imperativo) per ricordare ai partiti che, se taglieranno le gambe al premier, la partita tornerà nelle mani del Quirinale, con conseguenze imprevedibili per tutti. Per altri ancora è soltanto un platonico auspicio (il wishful thinking che si fa precedere dal condizionale, “vorrei”), destinato a cadere nel vuoto. In realtà sembra piuttosto uno scatto d’umore — sintomo di un’irritazione fredda, ma non per questo meno forte — il cenno che il presidente della Repubblica si è concesso ieri, durante una visita al Cnr, per lambire a modo suo la questione delle ricadute dell’ultima, pesantissima condanna subita da Silvio Berlusconi.

 

Insomma: il suo è un avvertimento, l’ennesimo, ad avere “rispetto e cura delle istituzioni”, da tenere fuori dal gioco delle ipoteche sul futuro di Palazzo Chigi, perché questi sono «uno dei capisaldi della vita e dello sviluppo di uno Stato democratico e di una società civile degna di questo nome». Istituzioni che, insiste Napolitano, «richiedono una particolare, continua qualificazione nella continuità e un continuo sforzo di autocorrezione». La continuità, dunque, come «elemento essenziale» e valore, da non confondere con «immobilismo o conservatorismo».

 

Ecco la sola risposta, obliqua ma non troppo, che il capo dello Stato fornisce a chi tenta di chiamarlo in causa all’indomani della sentenza milanese sul Cavaliere, e alla vigilia di altri pronunciamenti dall’esito potenzialmente altrettanto infausto per il leader del centrodestra. Il rischio che questa catena di verdetti si traduca in insopportabili fibrillazioni per il governo Letta, già in tensione per le emergenze dell’economia, è concreto. Vale a dire che la rincorsa delle recriminazioni e dei rilanci potrebbe sgangherarsi al di là delle intenzioni, al punto di provocare una precocissima fine delle larghe intese e materializzare l’incubo dello stallo vissuto dai partiti dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio. Una chiave per approfondire le preoccupazioni del Presidente e dare un senso al suo allarme si può cercare analizzando proprio ciò che accadde nelle settimane cruciali tra marzo e aprile. Quando i capi delle maggiori forze politiche, impantanati da un risultato alle urne che consegnava al Parlamento tre minoranze senza garantire alcuna governabilità, doman-darono a Napolitano di ac-cettare una rielezione già da tempo esclusa. Era l’unico modo per uscire dall’impasse. E il suo sì fu allora subordinato a una collegiale «presa di responsabilità» per dare subito un esecutivo all’Italia, riservando a lui il ruolo di «fattore di coagulazione» dell’unico governo possibile, in quanto tale «senza alternative». Ora — è l’obiezione implicita nel discorso di ieri — è mai possibile che quell’intesa venga messa sotto stress e, anzi, a repentaglio dopo appena due mesi, solo per la reazione emotiva a una sentenza di primo grado? Non sarebbe poi lecito pensare che, nell’ipotesi di una frana della maggioranza e nell’impossibilità di trovarne un’altra in Parlamento, l’inquilino del Quirinale abbandoni il campo, facendo piombare il Paese nel caos, tanto più che nel frattempo non è stata neppure cambiata una detestabile legge elettorale?

Calma e gesso, quindi. Infatti, su questo scenario dovrebbe ragionare chi oggi minaccia sfracelli, magari equivocando ad arte sul termine «pacificazione» e alludendo perfino a un «patto tradito». Quasi che sia davvero immaginabile che Napolitano abbia siglato un accordo segreto per assicurare a qualcuno salvacondotti impossibili.

Marzio Breda


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