Anche Zaccagnini lascia il Movimento: «Via di corsa»

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ROMA — Adriano Zaccagnini scende le scale, con un sorriso tirato, e va verso la sala della conferenza stampa di Montecitorio. Rocco Casalino lo abbraccia: «Come stai?». Lui lo gela: «Starò meglio quando sarò uscito». L’addetto stampa del Movimento non lo sa, ma Zac ha deciso di lasciare. Entra nella sala e con una buona dose di coraggio affronta i cronisti, sotto lo sguardo, sarcastico o affettuoso, di alcuni parlamentari a 5 Stelle. Venti minuti nei quali demolisce pacatamente ma implacabilmente il Movimento, parlando di «strategia del terrore», di «movimento aziendalista», di «Berlusconismo 2.0». Poi attacca frontalmente Gianroberto Casaleggio: «Ho letto la sua intervista sulla Lettura del Corriere della Sera e mi ha confermato che c’è una visione fantascientifica della realtà, a dir poco discutibile». All’uscita, si siede su una panchina del cortile di Montecitorio, spossato: «Forse era meglio se restavo in fattoria. Però ora mi sento meglio». Ma ha ancora qualche sassolino da tirare fuori: «Sono finito nella ruota dei criceti. Quando ho letto Casaleggio dire addio all’assenza di vincolo di mandato, ho detto: queste sono tesi che portavano avanti eversivi e piduisti. Allora ciao, esco di corsa». E così siamo a meno sei: emorragia, come l’ha chiamata qualcuno, che presto potrebbe fare nuove «vittime».

Zaccagnini è fatto così. Sincero fino all’autolesionismo, onesto e trasparente nella sua battaglia per le idee, ha passato tre mesi a lavorare e litigare. Beppe Grillo non ha cercato di trattenerlo, perché sarebbe stato inutile. Stefano Vignaroli racconta: «Già il giorno dopo le elezioni mi aveva detto che avrebbe lasciato».

In conferenza Zaccagnini spiega: «Non mi sento più a mio agio, non riesco a lavorare serenamente. Si è instaurato un clima irrespirabile, una guerra intestina che non ha senso, una caccia alle streghe. Ho provato a chiedere rispetto per le idee, ma per dieci giorni hanno insistito sulle mele marce e sugli elementi tossici. Invece della Rivoluzione hanno fatto la strategia della tensione».

Zaccagnini assicura che continuerà a votare come i 5 Stelle, anche dal gruppo Misto, dove l’ha accolto Pino Pisicchio: «Quello che non sopporto è l’aziendalismo in un soggetto politico». Il deputato romano sa che sarà attaccato per la diaria e mette le mani avanti: «Ho appena consegnato il bonifico al capogruppo: ho restituito 8.500 euro di indennità e di diaria». Troppo pochi, accusano già dallo staff dei 5 Stelle: calcolando circa 2.900 di indennità per due mesi e mezzo, resta poco più di mille euro di diaria restituita: «Sono romano, ma domiciliato in Emilia, ho dovuto prendere la casa». Continuerà a restituire la diaria? «Sì, ma non la ridarò al fondo di ammortamento». Perché non si è dimesso? «Perché voglio continuare a lavorare sui temi ambientali e non tradisco la linea programmatica. Le idee dei 5 Stelle restano le migliori». Però per Zaccagnini ora «si chiude una fase: hanno voluto far decrescere il Movimento, riducendo l’immane 25% per poter fare solo opposizione. Non è Grillo il problema, ma l’approccio aziendalistico dei 5 Stelle. Mi spiace, ma io non mi fido a restare qui dentro. Volevo farlo già dopo l’espulsione della Gambaro, ho aspettato per rispetto a dopo il voto. Ma ora me ne vado». Non sarà l’unico: «Il disagio è diffuso». A guardarlo, in conferenza, ci sono alcuni deputati per nulla affranti dal suo addio: Laura Castelli, Alessandro Di Battista, Manlio Di Stefano. Tancredi Orlando è in disparte: «Posso solo dire che sono dispiaciuto». Non è l’unico nel gruppo, anche se pochi parlano e quelli che lo fanno, come Roberta Lombardi e Riccardo Nuti, sono contenti di essersi liberati dell’ennesima «mela marcia». Zaccagnini non sarà il solo ad abbandonare la baracca. Il primo a uscire potrebbe essere Alessio Tacconi: «Forse sarò il prossimo». È in sofferenza, lui e la moglie svizzera, per la restituzione della diaria e nei giorni scorsi ha protestato con il capogruppo. Forse l’abbandono avverrà dopo il bonifico e per motivazioni più nobili, ma pare questione di giorni. Così come è solo questione di tempo per Paola Pinna, che non nasconde la sua insofferenza: ha fatto il bonifico, per sottrarsi al gioco al massacro, ma non le è piaciuto il diktat dei rimborsi imposti. Come non le sono piaciute le parole di Casaleggio.

Altri si aggiungono alle critiche, come Ivan Catalano, che su Facebook attacca Casaleggio per l’intervista al Corriere : «Sembrerà strano: questo non è il Movimento 5 Stelle ma l’idea di Casaleggio. Lui dovrà sottoporsi al giudizio della Rete. Uno vale uno ma la Rete è uno strumento che non prescinde dall’essere umano». A chi lo contesta nei commenti, risponde: «Fermiamoci a riflettere. Basta dire Grillo e Casaleggio e diventiamo peggio di Cl». Catalano non è nuovo a uscite sorprendenti, come quella che fece infuriare Grillo, subito dopo l’arrivo in Parlamento: «Un governo va fatto».

Alessandro Trocino


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