La mossa di Prodi agita i Democratici «Dobbiamo convincerlo a ripensarci»

by Sergio Segio | 25 Giugno 2013 6:19

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Ma se nel Pdl evitano commenti nei suoi confronti, tra i confini del Partito democratico l’ultima uscita di Romano Prodi provoca uno choc positivo. Segno che, per quanto il Professore scriva che «my game is over» e sottolinei che «la mia gara è finita», in molti non si rassegnano alla sua uscita di scena.

Il deputato Sandro Gozi, che lo conosce benissimo e gli è amico dai tempi di Bruxelles, sorride: «La lettera che Romano ha inviato al Corriere è la migliore risposta che potesse mandare a chi l’ha tradito, di recente e anche in passato». Anche perché «nessuno dimentichi che, prima dei centouno che hanno fermato la sua corsa al Quirinale nel segreto dell’urna, Prodi aveva vinto due volte le elezioni e per due volte era stato azzoppato».

E le mosse future? Che cosa farà Prodi? Per Gozi, «adesso tocca a noi. Tocca al Pd dar vita a un congresso costitutivo , che non sia semplicemente lo scontro tra più candidature. Sta a noi convincere il fondatore dell’Ulivo e le decine di migliaia di iscritti che non vogliono rinnovare la tessera a rivedere le proprie decisioni, a ripensarci…».

 

In fondo, quella del prodiano Gozi è una previsione che assomiglia tantissimo allo schema disegnato da Pippo Civati ieri mattina. «La sua posizione», scrive il deputato lombardo, uno dei primi iscritti alla corsa per la segreteria, «era nota da tempo. Game over , dice Prodi. Ma, a mio modo di vedere, non finisce qui». Perché, aggiunge «il Pd del futuro deve tornare a essere ospitale nei confronti di Prodi, della tradizione dell’Ulivo e soprattutto dei milioni di elettori che ci hanno creduto e che non ci credono più».

Come se una finestra restasse aperta. Come se questo capitolo della storia del centrosinistra non si fosse ancora chiuso. Anche per quanto riguarda la sfida congressuale, da cui Prodi ha spiegato di voler rimanere alla larga. «Di sicuro lui farà sentire la sua voce anche nel congresso. Non sulle candidature ma sulla partecipazione», è la scommessa di Civati.

Soprattutto il passaggio della lettera in cui il Professore sottolinea la necessità di affidarsi «a nuovi interpreti» convince i fedelissimi di Renzi. Che si tengono molto alla larga dalla tentazione di tirargli la giacchetta, ovviamente. Ma, come fa Ernesto Carbone, un altro che Prodi lo conosce bene, replicano alla lettera al Corriere con un sorriso a trentadue denti. «In quella lettera ho riconosciuto il Romano di sempre…».

A pochi passi da Carbone, sui divanetti di Montecitorio in cui gli esponenti del Pd compulsano di buon mattino l’ultima uscita del padre nobile, ci sono i franceschiniani. «Il messaggio che ci ha voluto mandare Prodi è molto chiaro. Non so se è un ritorno in campo. Ma, secondo me, Prodi ha voluto farci sapere che dal Pd non se n’è mai andato», scandisce maliziosamente Ettore Rosato. «L’autorevolezza di Prodi ci serve», aggiunge l’ex ministro Barbara Pollastrini. Un’altra che, del game over dell’ex premier, proprio non vuol sentirne parlare.

Tommaso Labate

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