by Sergio Segio | 22 Giugno 2013 17:42
LUSSEMBURGO — L’Italia è uscita dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo ed entra nel ristretto cerchio degli undici Paesi virtuosi in materia di conti pubblici. Il consiglio dei ministri Ecofin ha accolto le raccomandazioni della Commissione che a fine maggio aveva proposto di chiudere la procedura aperta nel dicembre del 2009, quando il governo Berlusconi aveva portato il deficit al 5,5 per cento del Pil. Insieme all’Italia, escono dal mirino di Bruxelles Lettonia, Lituania, Romania e Ungheria. I ministri hanno anche accordato a sei Paesi sotto procedura proroghe per rientrare sotto il tetto del tre per cento: Olanda e Polonia hanno avuto un anno di tempo in più, fino al 2014; Francia, Portogallo e Slovenia ricevono due anni di mora fino al 2015 mentre la Spagna potrà arrivare fino al 2016. «Era un passo sul quale tutti contavamo, ma una volta formalmente compiuto ci si sente più sollevati», ha commentato il ministro delle Finanze Fabrizio Saccomanni, secondo cui la fine della procedura comporterà diversi vantaggi per l’Italia. «Non ci sarà più un monitoraggio molto serrato di tutte le nostre politiche. Avremo un maggiore grado di libertà e la possibilità di dare più attenzione a investimentoi per promuovere riforme di carattere strutturale». Secondo il ministro, pur rispettando il tetto del 3 per cento, «che si amplierà se ci sarà ripresa a fine anno», l’Italia ha ora maggiori margini di manovra. Non tanto chiedendo «deroghe o trattamenti speciali» ma sfruttando meglio le risorse a disposizione: « Noi siamo indietro sull’utilizzo dei fondi strutturali finanziati dalla Ue e già computati. Quindi, prima di cercare deroghe, dobbiamo cercare di utilizzare quei fondi, come stiamo facendo in queste settimane ». Più problematica resta invece la realizzazione di una vecchia richiesta italiana, cioè lo scorporo dal calcolo del deficit di spese per investimento come il co-finanziamento dei progetti europei. Su questo punto resta l’opposizione della Germania e anche una certa freddezza della Commissione. «E’ una questione ancora in discussione», ha riconosciuto Saccomanni.
Il ministro ha anche risposto indirettamente alle critiche di Susanna Camusso. La leader di Cgil aveva accusato il governo di fare «molti annunci mentre la sensazione è che i dossier si moltiplichino, ma che non si decida sui singoli capitoli» anche perché «non si è deciso qual è il punto vero su cui concentrarsi». Secondo Saccomanni, invece, sulla questione Iva e Imu «stiamo studiando tutte le opzioni: l’obiettivo è trovare intese le più larghe possibili per non creare nuovo debito e per promuovere, se possibile, un meccanismo di riforma che renda in futuro meno gravoso l’intervento delle finanze pubbliche». Quanto alla copertura delle spese per la cassa integrazione, «i soldi li abbiamo trovati fino a fine anno e per il prossimo faremo tutto il possibile, sperando che con la ripresa il conto della cig si riduca ».
Ieri i ministri hanno anche dato il via libera all’ingresso della Lettonia nell’euro a partire dal primo gennaio prossimo. Poi hanno cominciato la lunga maratona notturna sulla definizione di criteri coordinati per la gestione dei fallimenti bancari. Dopo la crisi di Cipro, si tratta di individuare un metodo unico per decidere chi pagherà, e in che proporzione, in caso di fallimento delle banche, senza obbligare i poteri pubblici a intervenire con i soldi dei contribuenti. In linea di massima la gerarchia definita prevede che l’onere delle ristrutturazioni gravi, nell’ordine, sugli azionisti, quindi sui creditori non privilegiati, sui detentori di azioni «senior», e in ultimo sui correntisti con depositi superiori ai centomila euro. Ma il grado di contribuzione di ogni categoria, e i poteri dello Stato nella gestione delle crisi, sono temi su cui appare ancora difficile trovare un accordo per fine mese.
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