Kyenge: l’Italia non è un Paese razzista Io non ho paura «Ma esiste una emergenza culturale»

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Ministro Kyenge, ha ragione l’Herald Tribune? Gli italiani sono razzisti? «No. L’Italia non è un Paese razzista. È un Paese in cui accadono episodi di razzismo.
Sono due cose molto diverse».
C’è più razzismo in altri Paesi europei? «Altri Paesi europei hanno una lunga storia prima di colonialismo, poi di immigrazione. Rispetto a loro, l’Italia non ha ancora elaborato una cultura dell’immigrazione e della società multietnica. Qui il fenomeno è stato diverso, molto veloce. Ma non c’è dubbio che nella cultura italiana ci sia l’accoglienza.
E nell’anima italiana c’è quel calore che altrove manca».
Com’è stata la sua esperienza di immigrata? «Sono arrivata a Roma a 19 anni, per caso.
Avevo fatto domanda di iscrizione all’università in vari Paesi, a cominciare da quelli di cui conoscevo la lingua, Francia e Regno Uni- to; invece mi hanno presa qui. La borsa di studio alla Cattolica però è sfumata.
E fin da subito ho avuto modo di verificare la capacità di accoglienza degli italiani».
Dov’è andata a vivere? «Mi hanno aiutata un sacerdote di origine ungherese, padre Bekes, un rifugiato politico, e le suore missionarie di Adele Pignatelli, legate alla figura di Luisa Guidotti Mistral, martire in Zimbabwe. Un ambiente straordinario».
Poi si è trasferita in Emilia.
«La considero la mia terra. A Modena ho trovato ospitalità e anche organizzazione.
Molte famiglie immigrate hanno avuto la possibilità di costruirsi una vita e di integrarsi. Certo anche in Emilia ci sono episodi di razzismo: sono frutto di mancanza di conoscenza e di memoria, di quando gli italiani erano un popolo di emigranti. Come medico, però, mi sono inserita facilmente. Mi ha fatto piacere notare che i pazienti mi cercavano per le mie capacità, senza badare alle mie origini».
È vero che lei ha querelato un uomo che l’aveva aggredita? «Sì. Era il 2004. Stavo facendo la campagna elettorale, quando un commerciante di trattori mi ha detto di andarmene: pensava fossi una venditrice ambulante. Non riusciva a credere che fossi davvero candidata in una circoscrizione di Modena, minacciava di chia- mare la polizia. Quando poi mi ha messo le mani addosso, la polizia l’ho chiamata io.
Purtroppo il mio aggressore è morto prima che il processo arrivasse a sentenza».
Sono quelli che la minacciano che devono aver paura…
«Guardi che è una cosa molto seria. Io paura non ne ho: può scriverlo a caratteri cubitali. Certo non sono rimasta indifferente. Quelli che mi hanno insultata credevano di offendere me; in realtà hanno offeso l’umanità intera. Qualunque persona che rifiuta il razzismo dovrebbe sentirsi chiamata in causa».
Gli insulti sono arrivati dalla destra, talora estrema; ma ci sono stati episodi di intolleranza anche a sinistra.
«Non è una questione politica, tanto meno partitica. È un’emergenza culturale, cui dobbiamo rispondere con l’educazione, con una campagna di informazione, con il lavoro nelle scuole. Anche i media devono capire che il linguaggio è importante. C’è troppa disinvoltura nel modo in cui si usano le parole e gli stereotipi. C’è una violenza cui io intendo rispondere con il massimo di non violenza».
Lei ha sposato un calabrese. Al Sud co- me si trova? «Mio marito è cresciuto a Modena, ma le sue radici in effetti sono in Calabria. Sono vent’anni che vado là in vacanza, la considero la mia seconda terra. La gente è capace di profonda umanità. Certo dipende da zona a zona, da caso a caso. C’è una cultura da costruire». Come farlo? Secondo il modello francese, l’assimilazione, o quello inglese, il multiculturalismo? «In Europa sono stati commessi molti errori, non c’è un sistema perfetto da copiare.
Ma io penso che voler assimilare gli immigra- ti sia uno sbaglio, una mancanza di rispetto verso la persona. Mi interessa di più l’approccio multiculturale, che nei Paesi anglosassoni è stato applicato pure con l’affirmative action».
Vale a dire inserendo le minoranze, anche con un sistema di quote, in settori da cui erano tradizionalmente escluse. Non crede però che in Italia sia già scoppiata una guerra tra poveri, tra gli italiani provati dalla crisi e i nuo- ti dalla crisi e i nuovi arrivati, per il posto in ospedale, la casa popolare, il lavoro? «È un’impostazione sbagliata partire dalle differenze. Io vorrei partire dai diritti e dai doveri.
Esistono regole che vanno applicate a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro provenienza e dal colore della loro pelle. È facile alimentare la paura del diverso, attribuirgli la colpa delle difficoltà di questo momento. È difficile far capire che la diversità è una risorsa. Ma dobbiamo farlo».
Balotelli può essere d’aiuto? All’inizio gli urlavano «non esistono negri italiani».
Ora è la star della nazionale.
«È vero, quella di Balotelli è una storia esemplare. Anche se si parla poco di lui come professionista e molto come personaggio».
Secondo lei lo fischiano perché è nero o per i suoi atteggiamenti? «Lo fischiano per lo stesso motivo per cui insultano me: perché siamo degli apripista.
Lui il primo centravanti nero della nazionale, io la prima ministra nera. Tentano di indebolirci, ma non ci riusciranno».
L’Italia diventerà un Paese multietnico? «L’Italia è già un Paese multietnico. Chi lo nega ha in mente l’Italia di venti o trent’anni fa. E non è mai stato in una scuola elementare».
Aldo Cazzullo


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