Cina , la rivolta viaggia sul web: “Via i cani dal menù”

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PECHINO. Scoppia in Cina la rivolta contro il consumo della carne di cane. Per la prima volta una battaglia animalista viene adottata dalla popolazione, che insorge contro il festival che oggi, primo giorno d’estate, offre a migliaia di appassionati la possibilità di assaggiare decine di ricette a base di cane. L’appuntamento è a Yulin, regione del Guangxi, dove ne saranno servite oltre diecimila porzioni: stufato, arrostito, o lessato nel brodo di verdura, alla maniera antica. In Cina non esiste una legge che tutela gli animali, nemmeno quelli in via di estinzione. Il consumo del cane, come quello della pinna di squalo, o della carne di orso, è un’usanza che risale dei secoli imperiali. A Yulin centinaia di cuochi si esibiranno così anche nella preparazione della carne di gatto, ricostituente prodigioso, secondo la medicina tradizionale.
La festa, settantaseiesima edizione, minaccia però di trasformarsi in uno scontro tra i residenti, amanti dei piatti a base di cane, e gli animalisti metropolitani, mobilitati in tutto il Paese. Attivisti hanno occupato alcune strade della città, alzato manifesti contro la «strage del miglior amico dell’uomo» e chiesto al governo di vietare il banchetto. Il web ha diffuso filmati shock in cui si mostrano branchi di cani stipati nelle gabbie, picchiati prima di essere uccisi e scuoiati, pentoloni fumanti in cui vengono gettati i tranci pronti per la cottura. Proprio la Rete sta facendo la differenza. Milioni di cinesi possono vedere la mattanza dei cani nel Guangxi e nella nazione, dove solo da pochi anni è legale possedere animali
da compagnia, monta un vento di indignazione senza precedenti. A difesa dei cani si schierano a sorpresa anche i più famosi chef, star della tivù di Stato, che osservano come «visto che in Cina la disponibilità di proteine animali non è più un problema, possiamo smetterla di sterminare cani e gatti, come in tempi di carestia». Lo stesso governo centrale, sotto pressione per la protesta sui social network, esibisce imbarazzo.
Pechino è stata costretta a inviare a Yulin «squadre speciali per monitorare il festival ed evitare crudeltà». Alti funzionari hanno dichiarato che l’iniziativa non può essere annullata «perché voluta dalla gente del posto». Il popolo di Internet chiede però che la polizia fermi i camion carichi di cani da carne, mentre gli organizzatori spiegano che «nessuno in Europa insorgerebbe contro chi consuma coniglio e cavallo, usanza per noi atroce». Giustificazione che indigna gli animalisti e che costringe la Cina a prendere atto di una sensibilità nuova, che dalla protezione degli animali si estende alla tutela di fiumi e foreste, alla lotta contro l’inquinamento,
contro lo sfruttamento del territorio e contro il cibo tossico. Già due anni fa gli animalisti avevano liberato oltre 500 cani, ammassati su un camion che da Pechino era diretto nel Sud. Azione isolata: grazie ai microblog nascono ora gruppi spontanei che si mobilitano per smantellare con la forza gli allevamenti, spesso clandestini, di cani e gatti da macello. Una mina politica che allarma il partito, diviso tra chi teme l’impopolarità che
deriva dalla condanna di una tradizione e chi invece ha paura di proteste animaliste che possono fondersi con altre rivolte, indebolendo la stabilità del sistema. Per il neo-presidente Xi Jinping ogni soluzione rischia così di rivelarsi un passo falso: contro anziani e contadini dei villaggi, amanti della carne di cane, oppure contro giovani e impiegati metropolitani, che sostengono «la fine di una barbarie».


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