AMO LA MIA ISTANBUL CHE SI È RIBELLATA ALL’AUTORITARISMO

by Sergio Segio | 20 Giugno 2013 6:44

Loading

Tutto ha avuto inizio dalla protesta pacifica per salvare gli alberi di un parco pubblico. Il governo è stato irremovibile nel proposito di abbattere Gezi Park per ricostruire le baracche dell’esercito ottomano, che verrebbero trasformate in un museo o in un centro commerciale. Il governo ha preso questa decisione senza un opportuno dibattito nella società o nei media. La popolazione non ha avuto la possibilità di esprimere il proprio parere. Molti istanbuliti preferivano proteggere il parco che avere un centro commerciale. Tra di loro alcuni hanno finito coll’occupare il Gezi Park con tende e chitarre. Erano giovani, in buona parte. E non necessariamente politicizzati o impegnati in politica.
La repressione della polizia è stata inflessibile e sproporzionata. I giovani ambientalisti disarmati sono stati picchiati e le loro tende sono state date alle fiamme. Il giorno seguente, quando Internet e i media (alcuni media) hanno iniziato a trasmettere le immagini degli agenti della polizia in assetto di combattimento che facevano un uso eccessivo del ricorso alla forza, la società intera è rimasta sconvolta e sgomenta. Centinaia di persone sono scese in piazza. Le donne hanno partecipato percuotendo coperchi e pentole dai balconi. Liberali, cittadini di sinistra, nazionalisti, kemalisti, aleviti, e giovani… nel giro di pochi giorni perfino i cittadini apolitici si sono politicizzati.
In un’intensa lettera indirizzata al Primo ministro, un giovane istanbulita, direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria, ha scritto: “Sa perché sono sceso in strada, mio caro Primo ministro? Perché non voglio che mio figlio viva queste stesse cose. Perché voglio che cresca in un paese democratico”. Gli appelli sinceri e umani come questo sono rimasti inascoltati. I primi giorni per le strade si respiravano speranza e spensieratezza. Questa forma di ottimismo però ha subito lasciato il passo all’amarezza. Come sempre, la violenza della polizia ha innescato la violenza per le strade. Le dimostrazioni sono divampate ovunque come un incendio. In un attimo si sono registrati tumulti in oltre 70 città. Sono rimaste ferite 2400 persone e i morti sono almeno quattro. Da lì sono nate altre proteste, e altre violenze. Il personaggio al centro di tutto ciò, il Primo ministro Erdogan, avrebbe potuto scegliere un approccio più soft, toni più contenuti. Avrebbe potuto placare la folla. Non lo ha fatto. I suoi discorsi, al contrario, hanno attizzato gli incendi. Ha redarguito i manifestanti, chiamandoli “razziatori”. Ogni suo discorso ha innescato una nuova reazione violenta.
Durante questi 13 giorni di sospensione nei quali piazza Taksim è stata occupata dai dimostranti, sono comparsi manifesti di ogni tipo, con l’effigie di Ataturk, il fondatore della Turchia moderna; con quella di Deniz Gezmis, l’iconico leader della sinistra impiccato negli anni Settanta; con le bandiere turche; con il simbolo della pace. Questi manifesti mettono in luce la eterogeneità dell’opposizione. Persone che di norma non starebbero mai insieme, oggi cantano fianco a fianco in piazza Taksim. A unirle è lo sdegno nei confronti del governo.
Gli eventi non si stanno ancora placando e resta ancora da trovare una soluzione. Dopo giorni di tumulti e tensione, nell’aria si respira l’odore acre dei lacrimogeni, e i cuori sono impregnati di amarezza.
Questa non è la Primavera turca e nemmeno l’Estate turca. Più che altro perché la Turchia è un paese diverso, con una lunga storia di occidentalizzazione, modernità e laicismo dietro di sé. Questo è un bivio per la Turchia e per i politici turchi. Niente sarà più uguale a prima. Questa non è una spaccatura tra “kemalisti” e “islamisti”. All’improvviso il vaso di Pandora è stato aperto, e ne sono usciti nuova rabbia e vecchi rancori accumulatisi nel tempo.
La ragione principale di questi scontri non è l’islamismo, come ipotizzano alcuni commentatori in Occidente. La causa di tutto è l’autoritarismo.
L’autoritarismo ha una lunga storia in Turchia. L’Impero ottomano nacque da una forte tradizione statale. L’élite kemalista modernizzò la società dall’alto verso il basso, poiché credeva in uno stato forte. E così pure il suo evidente avversario, il partito Ak. Ogni qualvolta un’opposizione o la possibilità di un’opposizione prospera, le tendenze autoritarie reagiscono.
In Turchia lo stato è forte e nonostante ciò è trattato come se fosse fragile. È sempre lo stato a essere protetto dalle opinioni critiche dei singoli individui. In una vera democrazia, invece, si proteggerebbe il singolo individuo dallo strapotere statale.
Traduzione Anna Bissanti

Post Views: 182

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/06/2013-06-20-06-45-41/