Diritto all’oblio una nobile causa Scrivere la Storia sarà più difficile

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Le discussioni si basano su un progetto, stilato dall’eurodeputato tedesco Jan Philipp Albrecht (Verdi), che nei giorni scorsi è stato ancora ritoccato: ricomincia così un esame che non finirà prima del 2014.
Le nuove regole proposte prevedono che ogni cittadino debba fornire il proprio consenso «esplicito» prima che altri — per esempio Facebook o Amazon — possano usare i suoi dati personali, e torna il principio del «diritto all’oblio», la possibilità riconosciuta agli individui di «rettificare o cancellare» i propri dati personali. Ma come mai, al di là dello scandalo Prism, in Europa è così difficile arrivare a un accordo su vita digitale e privacy? Quali sono le forze in campo?
Da una parte ci sono decine di ong e associazioni dei consumatori che chiedono il rispetto della vita privata, e pretendono che gli utenti di Internet vengano consultati ogni volta che, per esempio, un browser usa i dati di navigazione per profilare l’individuo e bersagliarlo con pubblicità mirate. Dall’altra, i giganti come Google, Microsoft o eBay, premono affinché non vengano posti troppi limiti alle loro attività.
In mezzo, ma oggettivamente più vicini alle posizioni americane, ci sono gli archivisti francesi e anche italiani, che hanno lanciato una petizione in particolare contro «il diritto all’oblio». Molte informazioni personali sono ormai esclusivamente digitali, sostengono, i registri cartacei quasi non esistono più. Se diamo a ciascuno il potere di cancellare i propri dati, come faranno gli storici a ricostruire alberi genealogici, rapporti famigliari e di affari della società di inizio millennio? Il diritto all’oblio rischia di cadere nella perdita della memoria. E l’archivista parigino finisce quasi col dare ragione a Mountain View.


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