Berlino 2013, l’Obamania non abita più qui
BERLINO — Parlerà cinquant’anni dopo Kennedy. In un podio alla Porta di Brandeburgo, dall’altra parte del luogo in cui Ronald Reagan cercò di convincere Mikhail Gorbaciov «ad abbattere quel muro». Voltandosi potrà scorgere la Colonna della Vittoria, attorno alla quale 200.000 persone si radunarono per acclamarlo presidente pochi mesi prima del suo arrivo alla Casa Bianca. Ma Barack Obama non si misura oggi a Berlino né con se stesso né con i suoi predecessori.
La sua visita non è un confronto con il passato. Né un test di popolarità, anche se molti ideali di quell’estate del 2008 sono stati ridimensionati dalle dure necessità del governare. Il presidente americano è alla ricerca di una nuova partnership «pragmatica» in quella Europa che non è mai stata, nei fatti, la priorità più alta della sua amministrazione. Pensa che la Germania «riluttante» — come l’ha chiamata l’Economist con una definizione destinata a passare alla storia di questo decennio — possa essere l’interlocutore indispensabile per affrontare crisi vecchie e sfide nuove. Ma non è detto che la linea funzioni bene come sarebbe opportuno. «Doveva venire prima, non farci aspettare quattro anni e mezzo», dicono molti in cancelleria.
Angela Merkel, tra l’altro, non è mai stata una «obamiana». Prima delle elezioni si rifiutò di far parlare il giovane senatore nero vicino al simbolo della città. «È riservato ai capi di Stato», si giustificò. Oggi invece si può fare. Non sarà un bagno di folla, ma un discorso davanti a 4.000 invitati. Nel frattempo, però, il rapporto personale tra i due non è mai decollato. La cancelliera è grata al presidente democratico di averle consegnato alla Casa Bianca nel 2011 la «Medaglia della libertà», la più alta onorificenza americana, ma non dimentica di essere stata isolata, in varie occasioni, quando Obama puntava su altri leader europei, come François Hollande, o insisteva sulla necessità di promuovere la crescita senza irrigidirsi solo sulle politiche di austerità. Il clima ora è in gran parte cambiato. La Germania è il conclamato decision-maker di un’Europa inserita in una partita globale. Anche un concorrente.
In questo quadro assume un’importanza fondamentale lo sforzo per finalizzare il patto di libero scambio Usa-Ue di cui si discuterà nei colloqui di questa mattina. L’interesse della cancelliera è forte. Il governo di Berlino vuole un rapido avanzare dei negoziati che inizieranno a luglio a Washington e calcola che l’accordo sia destinato a portare benefici economici ad entrambe le parti dell’ordine di 100 miliardi euro all’anno. L’atteggiamento concreto nel gestire i temi di questa visita si conferma nell’approccio ad un dossier molto delicato, quello del programma americano di sorveglianza su Internet rivelato dal Guardian. Angela Merkel chiede trasparenza e misura ma ha ricordato anche che le attività statunitensi contribuiscono a proteggere la Germania dagli attentati terroristici. Una posizione più rigida è stata espressa da altri esponenti del governo. La ministra della Giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger ha sostenuto che «più una società controlla i suoi cittadini, meno è libera».
Tanta è forte la sensibilità dei tedeschi per questo argomento, che c’è anche chi teme proteste in cui lo «spionaggio» americano possa essere paragonato alle attività della Stasi, la terribile polizia segreta della Ddr. Il «disamore» nei confronti di Obama trova le sue spiegazioni anche nella mancata chiusura del carcere di Guantanamo e nell’assenza di progressi nella lotta contro il riscaldamento globale. In ogni caso, comunque, l’ottantadue per cento dei tedeschi pensa ancora che l’ex senatore dell’Illinois abbia fatto un buon lavoro. Non molti di meno del novanta per cento che si augurava un suo secondo mandato. Qualcuno gli batterà le mani, in una città guardata a vista da migliaia di agenti, altri ricorderanno di averlo fatto.
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