Bersani va all’attacco di Renzi «Segretario scelto dagli iscritti»
ROMA — Ovviamente alleggerisce la frase citando la formula «primarie aperte». Naturalmente precisa che «questo è quello che penso io, se poi non va bene alla maggioranza mi adeguerò». Ma il passaggio dell’intervento di Pier Luigi Bersani a Otto e mezzo dedicato all’elezione del prossimo segretario del Pd è di quelli che potrebbero innescare il timer dell’ennesima guerra contro Matteo Renzi. «Io sono perché si lascino aperti i circoli fino al voto, perché ci sia una campagna straordinaria che consenta a chi vuole di tesserarsi fino all’ultimo», scandisce l’ex leader. Ma «visto che dobbiamo scegliere un segretario di partito e non il candidato premier, allora secondo me devono votare solo gli aderenti al Pd».
Li chiama «aderenti», evitando accuratamente la parola «iscritti». Ma il senso è quello. In un colpo solo, insomma, Bersani non solo si oppone al pressing di chi, come Renzi, vorrebbe un voto aperto a tutti. Ma rifila un siluro implicito al «lodo» con cui D’Alema aveva sminato la discussione sull’automatismo tra leadership del Pd e premiership del centrosinistra. Per l’ex numero uno del Nazareno, insomma, la confusione tra i due ruoli non può esserci. Si elegge un segretario e lo dovranno eleggere gli iscritti. Punto.
Di fronte alla presa di posizione di Bersani sul limitare l’accesso ai gazebo ai soli iscritti può succedere di tutto. Persino che Matteo Renzi, che questa mattina sarà ospite della trasmissione Agorà su RaiTre, si spinga fino a minacciare il suo ritiro da una competizione alla quale — tra l’altro — ancora non si è iscritto. D’altronde, basterebbe ascoltare l’adagio che il sindaco di Firenze ripete a tutti i fedelissimi che gli chiedono di sciogliere immediatamente la riserva. «Se ci sono delle regole accettabili e con primarie davvero aperte, allora mi candido». Altrimenti, è la subordinata, «che si scelgano il segretario da soli. Rimango a Firenze e faccio il battitore libero».
Ancora più facile prevedere il commento alle parole di Bersani che sempre Renzi condividerà con Massimo D’Alema. Quando in diretta tv gli chiedono dei presunti movimenti anti-bersaniani di «rottamatore» e «rottamato», l’ex segretario non solo non smentisce. Ma rifila al dialogo sottotraccia dell’inedito tandem una sonora stroncatura, tra l’altro archiviandolo alla voce «tatticismi». Tatticismi, aggiunge, «che si spera lascino il campo a discussioni più profonde».
A prescindere dal fatto che non si candiderà al congresso, Bersani vuole ancora dare battaglia: «Non mi sento un leader sconfitto». E lo si vede anche dalla rivendicazione di parte del successo alle amministrative, coincise col crollo del Movimento Cinquestelle. «Anche quelli che mi rimproveravano il famoso streaming cominciano a riconoscerlo. Quel passaggio non è stato inutile». Come rivendica tanto la sua fedeltà al governo Letta («Voglio vederlo in faccia uno che pensa che io possa farlo cadere»), quanto l’elezione di Giorgio Napolitano («Non gli ho chiesto l’incarico perché altrimenti, al Senato, ci saremmo presentati sia io che lui, un presidente in scadenza e senza la possibilità di sciogliere le Camere»). E poi lo ripete in continuazione. «No a partiti padronali e personali». Evocando Berlusconi ma pensando al rischio Renzi? Impossibile dirlo. Di certo c’è una rivelazione, che l’ex segretario accenna per la prima volta. Quando confessa di aver cercato, durante le tormentate settimane post-voto, Beppe Grillo. In persona. E di più non dice. Neanche sui cavalli su cui potrebbe puntare al congresso. «Me ne vanno bene quattro o cinque…».
Related Articles
«Quirinarie», debutto e subito annullamento «Attaccati dagli hacker»
Ma la società di certificazione: anomalie E c’è chi sospetta uno stop a nomi «sgraditi»
Successi internazionali, soldi e calcio Silvio e il complesso del numero uno
«Ghe pensi mi». «No, per favore: no!». Mettetevi al posto del Cavaliere: è dura, per chi è convinto di essere «di gran lunga il miglior presidente del Consiglio che l’Italia abbia avuto nei 150 anni della sua storia», sentirsi assediato dalle invocazioni a farsi da parte.
D’Ambrosio, il dolore di Napolitano Severino: voleva dimettersi