by Sergio Segio | 18 Giugno 2013 8:20
LOUGH ERNE (Irlanda del Nord). Piomba su un G8 già diviso la tremenda maledizione di Bashar al Assad: l’Europa pagherà il prezzo per una eventuale fornitura di armi ai ribelli. Il presidente siriano la “recapita” usando un giornale tedesco, la Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Forse non a caso, sceglie di consegnare il messaggio attraverso la Germania, il paese europeo più scettico sulla decisione di Barack Obama di fornire armi ai ribelli. «Se gli europei consegnano armi — avverte Assad — il cortile dell’Europa si trasformerà in un terreno propizio al terrorismo e l’Europa ne pagherà il prezzo ».
Non semplifica lo scenario di un G8 già segnato da una spaccatura come non si vedeva da anni. La Russia da una parte, l’Occidente dall’altra (ma anch’esso tutt’altro che compatto). La tragedia siriana cattura quasi interamente il colloquio bilaterale tra Obama e Vladimir Putin, che va in scena dopo il primo pomeriggio di lavori del summit e prima della cena fra tutti i leader. Era da un anno che i due presidenti di Usa e Russia non si vedevano per un confronto bilaterale. Nel frattempo, Washington e Mosca avevano cercato di organizzare una conferenza di pace, detta Ginevra 2, per aprire i negoziati tra le due parti in guerra. Anche su quella conferenza Putin ha posto una condizione che appare difficilmente accettabile per Obama: il presidente russo non accetta la precondizione dei ribelli che vogliono escludere Assad dal tavolo di negoziato. Ma una conferenza con Assad è improponibile anche a Obama, che da mesi ripete: «Il dittatore siriano se ne deve andare».
Quando inizia la loro conferenza stampa, il “body-language” la dice lunga sulla freddezza nei rapporti. I due leader hanno volti tesi. Obama si morde un labbro continuamente, non riesce a dissimulare un’espressione di fastidio. Putin lo guarda raramente, fissa davanti a sé oppure si osserva le mani. «Le nostre posizioni non coincidono — dice il presidente russo — ma siamo uniti nella comune intenzione di fermare la violenza, di mettere fine all’escalation di vittime, di risolvere i problemi con mezzi pacifici inclusi i colloqui di Ginevra. Opereremo in favore dei colloqui di pace, per incoraggiare le parti a sedersi al tavolo di Ginevra». Obama conferma che i due sulla Siria sono d’accordo solo su vaghi e generici auspici: «Abbiamo vedute diverse ma abbiamo interesse a fermare la violenza, a impedire l’uso di armi chimiche». Obama ha detto che i due leader hanno dato mandato ai propri diplomatici per continuare a lavorare in vista di una conferenza di pace a Ginevra (qualcosa di più dei “colloqui” evocati da Putin). I due si rivedranno per un altro incontro bilaterale a Mosca, il 3-4 settembre proprio alla vigilia del prossimo G20 ospitato in Russia.
Obama prova a distendere l’atmosfera solo sul finale, escogitando una battuta sugli sport preferiti dai due leader. «Putin pratica il judo, io il basket, diventando vecchi ci vuole sempre più tempo per recuperare». In extremis ci scappa un sorriso e una stretta di mano, palesemente insinceri tutt’e due.
La Siria aveva guastato il clima del G8 fin dalla vigilia. In un prevertice con il premier britannico David Cameron, che è il presidente di turno del G8, il clima si era fatto subito gelido. Putin domenica sera aveva ribaltato le accuse. Di fronte a Cameron che lo accusava di sostenere un regime sanguinario, Putin aveva evocato l’immagine di un ribelle che divora le interiora di un avversario appena ucciso. «È a questi che l’Occidente fornisce le armi? Sono comportamenti coerenti con i vostri discorsi sui diritti umani?». Stesso comportamento, a muso duro, Putin lo ha poi tenuto a Lough Erne con il presidente francese François Hollande. Parigi e Londra sono le due nazioni europee più in sintonia con la Casa Bianca su questo fronte. Francesi e inglesi hanno preceduto la decisione di Obama sulla cancellazione dell’embargo per le forniture di armi all’opposizione siriana, anche se Hollande e Cameron dicono di non avere ancora cominciato a fornire armi.
Unico spiraglio in una giornata negativa per la tragedia siriana, il primo segnale distensivo che il nuovo presidente dell’Iran ha inviato a Obama. Da Teheran il neoeletto Hassan Rohani ha detto di voler migliorare i rapporti con gli Stati Uniti. Tuttavia si è premurato di aggiungere che l’Iran resta contrario a qualsiasi intervento esterno negli affari interni della Siria. Rohani ha aggiunto che Assad deve restare in carica fino alle prossime elezioni siriane, cioè nel 2014. Siria, Iran e Russia sono in sintonia anche nel respingere ogni ipotesi di no-fly zone. Che peraltro Obama si è ben guardato dall’evocare.
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