Il patto dei Grandi: prima il lavoro «Con gli scambi 13 milioni di posti»

by Sergio Segio | 18 Giugno 2013 7:05

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LOUGH ERNE (Irlanda Del Nord) — «Oggi Stati Uniti e Unione Europea annunciano l’avvio ufficiale del negoziato per l’accordo che dovrà creare un’unica area di libero scambio attraverso l’Atlantico. Parliamo di intese commerciali che non sono importanti in sé, ma in quanto promuovono la crescita e il lavoro. E con questo patto noi potremo sostenere 13 milioni di posti di lavoro sulle due sponde dell’oceano». Barack Obama arriva al G8 nel resort di Lough Erne, in Irlanda del Nord, e definisce la cornice degli obiettivi economici del vertice prima di immergersi nel difficile confronto sul conflitto siriano col presidente russo Vladimir Putin.

Il leader americano si presenta alla stampa insieme al premier britannico David Cameron, il padrone di casa, e ai capi della Commissione e del Consiglio europeo, Manuel Barroso e Herman Van Rompuy, poco dopo aver incontrato il primo ministro italiano Enrico Letta che gli ha parlato soprattutto dell’emergenza lavoro giovanile. Argomento sul quale il presidente Usa, che l’anno scorso ha condotto una campagna elettorale tutta centrata sulla creazione di posti di lavoro, è sensibilissimo. Obama ha assicurato a Letta che nella riunione plenaria di oggi parlerà diffusamente dell’emergenza-giovani, ma già ieri sera ha voluto fissare gli ambiziosi obiettivi di un patto che, ha detto, dovrebbe unificare due aree — Usa e Ue — che rappresentano ancora oggi — e di gran lunga — la maggiore realtà commerciale del Pianeta: ogni anno queste due aree si scambiano beni e servizi per mille miliardi di dollari mentre gli investimenti americani in Europa e quelli europei negli Usa sono arrivati all’astronomica cifra di quattromila miliardi.

Numeri giganteschi, buoni propositi, frasi enfatiche: per Cameron siamo davanti a un’occasione unica, una di quelle che capitano una volta in una generazione, per «mettere il turbo alle economie transatlantiche». Per Van Rompuy questo accordo dimostrerà che l’Atlantico non è solo il passato ma anche il futuro del mondo.

Dietro alle buone intenzioni, però, c’è la realtà dei tempi prevedibilmente lunghi della trattative e del suo avvio assai stentato. Il negoziato, proposto solennemente cinque mesi fa proprio da Obama nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, ha rischiato di non arrivare nemmeno sulla pista di decollo per il veto minacciato dalla Francia. Per superarlo e ottenere il via libera di Parigi all’avvio della trattativa, qualche giorno fa gli altri partner della Ue hanno dovuto accettare la cosiddetta «eccezione culturale»: l’esclusione delle produzioni cinematografiche e televisive e, più in generale, di tutto il settore degli audiovisivi, dall’area di liberi scambio.

Un compromesso che ha lasciato l’amaro in bocca a molti anche in Europa (ieri lo stesso Barroso ha definito «reazionaria» l’eccezione culturale voluta dai francesi) e che potrebbe non essere accettato dagli Stati Uniti.

Difficoltà che non sono state nascoste nemmeno da Obama che ieri, nel lanciare il negoziato, ha anche avvertito che «non si deve cedere alla tentazione di ridimensionare i suoi obiettivi ambiziosi per evitare di affrontare le difficoltà e per il desiderio di arrivare a un accordo comunque».

Insomma abituatevi a sentir parlare in futuro di Ttip, la sigla della Transatlantic trade and investment partnership: i negoziati sono molto importanti, ma saranno anche lunghi e complessi. Così come complesse saranno le trattative per dare contenuto in ogni Paese alle misure per la trasparenza fiscale e contro l’elusione delle multinazionali che evitano di pagare le tasse parcheggiando i loro profitti nei paradisi fiscali. Interventi propositi dal presidente del G8 Cameron e che gli altri Paesi, dopo alcune esitazioni iniziali, sembrano disposti ad accettare, ma solo come principi generali inseriti nel comunicato finale del vertice che poi ogni Paese applicherà a modo suo.

I mercati, che cercano sempre di anticipare gli eventi che ieri hanno regalato alle Borse una giornata molto positiva, non sono stati influenzati dalle promesse dei leader politici del G8 ma dalle attese legate a un altro vertice: quello dei governatori della Federal Reserve che si riuniranno a Washington oggi e domani. Si è diffusa l’attesa che il loro capo, Ben Bernanke, dopo aver seminato qualche dubbio in un discorso del 22 maggio scorso sul proseguimento delle politiche di sostegno all’economia fin qui seguite dalla banca centrale Usa (tassi a zero e acquisto di 85 miliardi di dollari di titoli del Tesoro e obbligazioni immobiliari ogni mese) chiarisca il suo pensiero e rassicuri gli operatori. Un mese fa Bernanke era sembrato ipotizzare una revisione di queste generose politiche di sostegno, alla luce del consolidarsi della ripresa americana. Ma il quadro economico mantiene una sua fragilità di fondo: la Fed sarebbe orientata ad assicurare che le correzioni di rotta saranno molto graduali e inizieranno solo davanti a una situazione ben più solida di quella attuale.

Massimo Gaggi

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