Una corrente del «Cinghiale» per fermare il rottamatore

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Stanotte ho fatto le tre a controllare i cantieri con il mio giubbetto da Fonzie. Del resto mi occuperò da lunedì…».
Vero e falso. Vero, perché effettivamente il primo cittadino di Firenze non era fortemente motivato a scendere in campo per la segreteria: sono i suoi che lo hanno spinto. Fosse stato per lui non si sarebbe mai fatto coinvolgere in questa vicenda. Poi l’ha vista come una scelta obbligata e necessitata. Quindi da qualche giorno in qua le perplessità e le resistenze sono tornate ad affiorare. Fino all’altro ieri. Ossia fino a quando Renzi ha capito che questa volta non sarebbe stato «solo contro tutti, come le altre volte».
Per questo si può anche sostenere che il palesato disinteresse di Renzi per i movimenti dell’ex segretario sia reale. Però, nel contempo, è falso perché poi ieri il sindaco ha rilasciato un’intervista al direttore del Tg2 tutta incentrata su questi temi e ha già caricato a molla i suoi. Ieri Luca Lotti ha incontrato Guglielmo Epifani per chiarire una volta per tutte la posizione dei renziani sulle regole congressuali. Su questo tema i sostenitori del primo cittadino di Firenze sono determinati: niente scherzi e giochi di palazzo e di apparato.
D’altra parte è proprio su questo fronte che il sindaco non è più «solo contro tutti». Dalemiani, veltroniani, franceschiniani, «giovani turchi» sono tutti d’accordo con lui: non si inventino nuove regole per l’elezione del segretario. Lo diceva giusto l’altro giorno Matteo Orfini, con l’abituale franchezza: «Non è detto che io voti Renzi segretario, ma una cosa è sicura: sono contrario al mutamento delle regole in corso e trovo penoso l’affaticarsi che fa qualcuno solo per sbarrare il passo a Renzi». Anche Dario Franceschini ha cercato di fugare le perplessità dei suoi, di quelli che gli dicevano: «Guarda che Matteo non è un vero democristiano: se vince non fa prigionieri». «Lui è più che una risorsa e noi dobbiamo sostenerlo, soprattutto se è Renzi la carta con cui il centrosinistra può sperare di vincere», è stato il ragionamento che ha fatto ai fedelissimi.
Insomma, per farla breve, Renzi adesso fa il distante e il distaccato. Ma in realtà sta studiando tutte le possibili mosse del prossimo futuro. «Se non vogliono che corra me ne resto fuori a fare il battitore libero…», continua a ripetere il sindaco rottamatore. Le sue parole, però, assomigliano più a una minaccia che a una rinuncia. Renzi lunedì prossimo, sistemati i cantieri fiorentini, tornerà all’assalto del palazzo del Nazareno. Lui e i suo condurranno una battaglia durissima sulle regole per l’elezione del segretario insieme ad altre componenti con l’obiettivo di costringere i bersaniani con le spalle al muro. Del resto, sarebbe clamoroso se per la seconda volta, solo perché c’è Renzi in campo, il Partito democratico decidesse di cambiare le regole.
Le resistenze antirenziane però sono forti e non riguardano solo gli ambienti più vicini al segretario. C’è tutto un mondo che fa riferimento agli ex Ds che fatica a mettersi in sintonia con il primo cittadino di Firenze e con le sue innovazioni. E infatti si torna a parlare di possibile scissione. Il tam tam è ripreso l’altro ieri, dopo che al termine della riunione dei bersaniani l’ex tesoriere Ds Ugo Sposetti ha portato poco meno di una trentina di parlamentari a cena da «Pommidoro», ristorante romano assai in voga nella sinistra di qualche decennio fa. Cinghiale (offerto da uno dei commensali) per tutti, condito con lamentele e rivendicazioni. La corrente del Cinghiale l’hanno ribattezzata al Pd. È un altro segnale del fatto che l’agitarsi di Bersani rischia di spaccare il partito in ex Ds ed ex margheritini. Non è un caso, a questo proposito, che il 22 e il 23 giugno a Todi si incontrino i cattolici del Pd e del centrosinistra in genere (ci saranno anche Graziano Del Rio e altri renziani) o che oggi Fassina, Cuperlo, Tronti e il segretario della Fiom Landini terranno un’iniziativa insieme sotto le insegne di «Rinnovamento della sinistra».


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