Napolitano ai partiti: stabilità per il rilancio, niente calcoli meschini

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ROMA — Ambizione concreta, saldezza d’intenti, intransigenza morale. Ecco i valori sui quali Giorgio Napolitano vorrebbe che gli italiani facessero leva per uscire da una crisi (economica, sociale, etica) in ogni senso complicata e grave. Siamo in una fase spartiacque — avverte — e il sistema va ristrutturato in fretta, se davvero si vuole che la Nazione tenga e, anzi, abbia una ripartenza. Serve dunque che «il governo operi serenamente» e che «il Parlamento faccia costruttivamente e con lungimiranza la sua decisiva parte». Ma soprattutto, per lui, serve che «le forze politiche non ricadano in meschini e convulsi calcoli di convenienza di qualsiasi specie… Ne va della credibilità del nostro Paese, della politica e della democrazia in Italia».
Sono le precondizioni che indica per ritrovare insieme uno scatto e che sintetizza in un denso messaggio alla Conferenza dei prefetti. Parla davanti alle autorità di governo sul territorio, quindi a delle «sentinelle» pronte a cogliere i segnali di malessere che percorrono la nostra comunità, e affida loro — ma non solo a loro — il compito di tenere alta l’attenzione sulle «ricadute della Grande Recessione». Infatti, ormai succede che «il disagio sociale è il fronte principale, su cui dispiegare l’impegno di tutti» (a partire dalle prefetture, appunto, con il loro potere e ruolo di compensazione). «Oggi», spiega il capo dello Stato, «alle difficoltà per molti aspetti drammatiche di imprese e mondo del lavoro, si accompagnano tensioni da affrontare con forte attitudine all’ascolto, al confronto, alla mediazione». E aggiunge, con esplicito allarme: «Non c’è dubbio che vi si leghino anche sia il rincrudirsi di certe tipologie di delinquenza comune, sia il manifestarsi di focolai di esasperazione estremistica e perfino di violenza eversiva». Questo lo scenario in progress che il presidente evoca, sapendo verso quali disastri può sfociare. Da tale consapevolezza bisogna partire, per avere la portata della «cruciale sfida dinanzi a cui si trova l’Italia, e che non può essere elusa». La sfida è naturalmente «quella del rilancio, su basi rinnovate, dello sviluppo nazionale nel contesto europeo, ed è quella del cambiamento istituzionale nel senso più ampio dell’espressione». Nel senso più ampio, puntualizza, «perché occorre procedere certamente anche a revisioni costituzionali», alle quali vanno affiancate «revisioni e riforme sul piano della legislazione ordinaria, degli assetti amministrativi, del modus operandi delle istituzioni rappresentative (ad esempio il Parlamento, ndr) e degli apparati dello Stato, nonché delle regole che presiedono ai rapporti tra le parti sociali».
Un impegno enorme. Quasi impossibile, verrebbe da dire, pensando alla palude italiana. Tuttavia, esorta Napolitano, «non è un disegno che possa spaventare perché troppo ambizioso». Per lui, è «uno spirito e un approccio da assumere nell’esercizio delle nostre responsabilità, a qualsiasi livello, e nei limiti del programma dell’attuale governo e del proiettarsi in avanti della nuova legislatura». Certo, «la condizione perché questa sfida, questa necessità di fondo, trovi via via risposte soddisfacenti, è la stabilità politica e istituzionale». Perché «non c’è bisticcio o contraddizione, tra stabilità e riforme» (compreso il nodo della «attuazione del federalismo fiscale»). Le riforme — «quelle che la commissione di studio appena insediatasi prospetterà e subito dopo il comitato parlamentare metterà in cantiere» —, insiste con toni pedagogici, «sono l’opposto di un approccio conservatore, di una, comunque motivata e camuffata, difesa dell’esistente». E potranno realizzarsi «solo se non sarà sottoposta a scosse e messa in questione la continuità del governo nato a fine aprile e, insieme, la continuità del Parlamento eletto a fine febbraio».
Tutto ciò ancora non basta, però, per attutire altri effetti collaterali di una crisi che ripropone certe miserie eterne della nostra vita pubblica. Non a caso, dice il capo dello Stato, «il rinnovamento istituzionale non è separabile dal rinnovamento politico, e quest’ultimo non può prescindere da un rinnovamento morale che l’estensione della piaga antica della corruzione nella vita politica e nella vita amministrativa impone categoricamente». Insomma: serve anche una rivoluzione delle coscienze. Da mobilitare al fianco di «tutte le istituzioni», che dovrebbero finalmente «essere rette da un forte principio di unitarietà per poter dare il meglio di sé nel comune interesse nazionale».
Marzio Breda


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