by Sergio Segio | 13 Giugno 2013 6:05
A questo punto, almeno per ora, non siamo arrivati. Ma l’inflazione (l’aumento dei prezzi) è ormai inchiodata ai minimi da tre anni. A maggio i prezzi non si sono mossi rispetto al mese precedente e, nel confronto con maggio 2012, l’aumento è stato dell’1,1%, tale e quale a quello di aprile. L’Istat – che aveva inizialmente stimato un aumento dell’1,2% – ha infatti rivisto il tasso al ribasso, calcolando una sostanziale stabilità anche per i prezzi del cosiddetto «carrello della spesa».
Che cosa può adesso succedere, se da un magro segno «più» si passa a un generale e costante segno «meno»? Quando la deflazione non solo arriva ma diventa anche generalizzata e duratura, modifica le aspettative e spinge consumatori e aziende a tardare acquisti ed investimenti frenando e poi bloccando la crescita dell’economia, fino alla retromarcia. In altre parole? La domanda manca e produttori e venditori limano i prezzi, portando via altro carburante alla caldaia dell’economia (quei prezzi sono anche ricavi e fatturato) e perpetuano recessione e disoccupazione in una spirale negativa.
Così ieri la Coldiretti – l’associazione degli imprenditori agricoli – ha scritto in una nota che «il basso tasso di inflazione riflette il clima di depressione nei consumi evidenziato anche da Confcommercio che ha costretto ben sette famiglie su dieci (71 per cento) a modificare la quantità e la qualità dei prodotti».
Certo, un calo dei prezzi leggero e temporaneo non sarebbe necessariamente una brutta notizia. Anzi. Ci sono stati casi di deflazione accompagnati da una crescita dell’economia. E’ quando la deflazione diventa forte che i rischi sono elevati, come è successo negli Stati Uniti della Grande Depressione (anni Trenta) e in Giappone negli anni Novanta e anche dopo.
In Italia il caso forse più famoso di prezzi in calo, quando si parla di consumi, è quello delle telecomunicazioni. E’ una situazione «double-face». «In Italia i prezzi della telefonia sono scesi, dal 2005, del 15-20% in più rispetto agli altri Paesi trasferendo così un enorme beneficio ai consumatori», ha spiegato ieri il commissario dell’Agcom Maurizio Decina. Che poi ha subito aggiunto l’altro versante della medaglia: «Sono circondato da operatori che mostrano conti economici sempre più critici, i valori di guadagno sono bassissimi per tutti».
Ci sono poi le cosiddette «deflazioni a metà»: come quella della benzina e del gasolio, il cui prezzo è sceso del 5% in un anno, ma è aumentato in modo consistente se si allunga il periodo di riferimento.
Quando invece il calo dei prezzi è generalizzato, la situazione è decisamente diversa e un altro possibile effetto – oltre alla spirale recessiva – è la distorsione del reddito: guadagnerebbe chi ha un reddito fisso; perderebbe chi ha debiti, i quali si rivaluterebbero in termini reali; diminuirebbero gli investimenti e i prestiti bancari, anche perché tenere denaro liquido potrebbe essere più vantaggioso. Uno scenario, insomma, non molto allettante.
Non tutti, però, sono d’accordo sul quadro di bassa inflazione dipinto ieri dall’Istat. Secondo le associazioni dei consumatori, per esempio, i cittadini «non hanno minimamente percepito» alcun rallentamento o frenata dei prezzi. Adusbef e Federconsumatori hanno anzi stimato ricadute per 533 euro per una famiglia di quattro persone e hanno chiesto di evitare «categoricamente» l’aumento dell’Iva.
Giovanni Stringa
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