La crisi del Pdl. «Ora un partito forte»
ROMA — Il paradosso nel quale è immerso il Pdl è che alle Amministrative registra una sconfitta bruciante, come è avvenuto domenica e lunedì, e allo stesso tempo i sondaggi lo danno in testa rispetto al Pd. È appunto attorno a questo che ruota grande parte della discussione seguita alla débâcle nei ballottaggi. Ci si interroga su come sia possibile che a livello nazionale il partito abbia un forte appeal, trainato da Silvio Berlusconi, mentre, al contrario, nelle competizioni a livello locale, dove il Cavaliere non corre, i candidati non intercettano analoghi consensi, ad eccezione di casi isolati come quelli in Calabria dove il Pdl conquista i quattro Comuni dove si è votato. Non c’è una ricetta univoca. Ognuno avanza la propria in attesa che il Cavaliere dica la sua. A sentire quelli del cerchio magico, se Berlusconi prenderà alcune decisioni sul futuro del partito, non lo farà certo spinto dai risultati negativi delle amministrative. Altre sono le questioni che possono indurlo e riguardano i processi che arriveranno a sentenza a fine mese. Non ci saranno falli di reazione che mettano a repentaglio la vita del governo Letta, come ha detto nei giorni scorsi lo stesso Cavaliere e ripetuto anche Alfano. Oggi, però, Alfano, in un’intervista al Foglio di Ferrara, critica — ed è la prima volta — «l’insistenza di Letta sul carattere di necessità del governo che presiede», e ricorda che se questo concetto «si ripete come una giaculatoria politica», il premier lo fa apparire come «un governo senza una sua missione autonoma». Insomma, per Alfano «tutti dobbiamo remare nell’interesse esclusivo del Paese e questo va fatto con meticolosa pazienza, con gradualità, ma anche con coraggio. Altrimenti non si va da nessuna parte».
Nel partito è diffusa l’impressione che, se ci saranno interventi sulla natura del Pdl (compresa un’eventuale modifica del nome, magari il ritorno a Forza Italia come spera il coordinatore lombardo Mario Mantovani), verranno decisi in previsione di un appuntamento elettorale. E nella prossima primavera ci saranno le Europee. Dipenderà da Berlusconi che ascolta tutti, ma le decisioni le prende lui. Le opinioni sul che fare sono diverse. «Nessuno cerchi le solite scuse. È ora di svegliarsi», ammonisce Roberto Formigoni. «Occorre guardare con lucidità ai nostri errori — argomenta Osvaldo Napoli —, Berlusconi è l’unica roccia circondata, purtroppo, da tanti sassolini». Gli fa eco Fabrizio Cicchitto che invoca «un salto di qualità nella costruzione di un partito che sappia tenere assieme una leadership carismatica e un partito forte, democratico, capace di discutere e scegliere, anche attraverso consultazioni interne, i suoi dirigenti». Se non lo faremo, mette in guardia Cicchitto, «si perde». Un interrogativo analogo lo pone Sandro Bondi: «Il Pdl vince grazie al carisma e alle qualità di Berlusconi». Si faccia, è il suo suggerimento, un «serio confronto interno fondato sulle idee e portato avanti da persone capaci, dotate di autorevolezza propria e non riflessa. Solo così il Pdl potrà produrre candidati vincenti». Daniela Santanchè propone che si cambi «l’organizzazione senza scatenare una guerra per bande. Non ci sono falchi né colombe. Semmai, l’unica certezza è che io non sarò mai un piccione». Un’altra esponente dell’ala dura, Michaela Biancofiore, vorrebbe che si recuperasse un profilo berlusconiano. Certo, riconosce l’amazzone azzurra, non è facile. «Averlo — fa notare — significa non essere imborghesiti, non essere contigui ai poteri e consociativi, non essere condizionati dal Palazzo, essere rivoluzionari nei fatti e negli ideali. Non farsi condizionare dal politically correct che anche papa Francesco, con mia totale condivisione, ha condannato».
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