by Sergio Segio | 5 Giugno 2013 6:27
MILANO — L’idea è quella di far impallidire Umberto Bossi fino a farlo svanire sullo sfondo. Tagliargli viveri, segretari e autisti per limitarne i movimenti e le possibilità di parlare in pubblico. Espellerlo dalla radio, dalla tv e dal quotidiano intitolati alla Padania. Metterne in dubbio la capacità di tornare ad essere protagonista e, magari, le facoltà tout court. Non tenerlo informato su quanto accade. Per poi liquidarne le dichiarazioni come le sortite di un alieno. Non parlarne. E se obbligati, sottolineare come stia facendo del male alla sua stessa creatura, la Lega: «Come Crono, che divorava i suoi figli» si lancia un leghista. Aurora Lussana, direttora della Padania, sintetizza nell’editoriale di oggi: «Serve un padre e non un padrone».
Bossi lo ha fatto ancora. Ha rilasciato una durissima intervista a Gad Lerner per dire e ribadire che «Maroni è un traditore». Per annunciare che ora si riprenderà la Lega: «Devo per forza rimettermi alla guida del partito». Per lanciare la nascita del suo nuovo giornale, «La lingua padana». Per dire che «torna attuale l’indipendenza», anche se «Maroni non ci crede». Ieri mattina i telefoni dei capi leghisti erano tutti irraggiungibili, surriscaldati da lunghe telefonate fiammeggianti. Le parole più usate: «Espulsione» e «buttarlo fuori». L’inaudito — la cacciata del «Capo» — è diventato opzione non solo possibile, ma argomentata. Se ne trova eco nella dichiarazione di Matteo Salvini: «Da segretario della Lega Lombarda dico che chi non ha voglia e non se la sente può accomodarsi altrove».
Fin quando Maroni ha detto no. Il segretario leghista prima tenta di ignorare l’intervista: «Al lavoro anche oggi — è il tweet del mattino — per risolvere i problemi dei cittadini». Poi, a Lecco, a margine di un incontro di Confindustria, si limita a dirsi «tranquillissimo. L’unico effetto che hanno queste interviste è danneggiare la Lega e contribuire a rendere più difficile la vittoria ai ballottaggi». Nella sostanza, il messaggio trasmesso dalla catena di comando nordista è suppergiù il seguente: «Espellere Bossi significherebbe farne un martire. Restituirgli la visibilità perduta passando tutti per degli ingrati che pugnalano colui a cui devono tutto. No, di gran lunga meglio il silenzio».
La sortita del «Capo» ha però immediatamente ridato vigore ai suoi sostenitori, peraltro tutti espulsi. Toni bellici, sanguinosi addirittura: «I traditori della Lega e di Bossi — proclama l’ex senatore Giovanni Torri — verranno giustiziati dalla storia politica per i fallimenti che hanno raccolto. I militanti aspettano ora il solo, unico capo alla guida della Lega. Adesso non si torna più indietro». Solo un tantino meno virulenta la veneta Paola Goisis: «Maroni e Tosi hanno già distrutto la Lega. La gente non è stupida e ha capito che quello che è successo è stato un attacco organizzato contro Bossi».
Sul fronte maroniano, il verbo del segretario viene declinato in ogni possibile salsa. Per il governatore Luca Zaia le parole di Bossi «fanno solo male alla Lega soprattutto alla vigilia dei ballottaggi», per Davide Caparini l’intervista «è un regalo ai nostri avversari».
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