L’appello a un «atteggiamento aperto»

Loading

ROMA — «Tenere il ritmo». Ecco che cosa aveva anticipato domenica sera Giorgio Napolitano, spiegando agli attori della scena politica quel che servirà, una volta completate le procedure e inaugurato il cantiere delle riforme, per chiudere davvero in 18 mesi — secondo l’indicazione di Enrico Letta — il processo dell’engeneering istituzionale. Ieri ha fatto un passo in più, sul tema del riordino della Costituzione. Ha spinto il governo a scrivere un preciso «cronoprogramma», in modo che la futura commissione congiunta di Senato e Camera (affiancata dal Comitato di 25 esperti destinato a insediarsi forse già entro la settimana) si impegni ad una regolare scansione dei lavori. A «tenere il ritmo» fino alla fine, appunto.
È questo il senso del pressing che il capo dello Stato sta compiendo, con la richiesta di precise garanzie al premier, al suo vice Alfano, al ministro per le riforme Quagliariello e al ministro per i Rapporti con il Parlamento Franceschini, ricevuti insieme al Quirinale. Ovviamente non si è limitato a un discorso sul metodo, il presidente. Ha sollecitato tutti ad accostarsi al tema con un atteggiamento aperto, in cui ogni proposta sia valutata serenamente e senza il sospetto che si voglia scardinare la Carta fondamentale, entrata in vigore nel 1948. Perché gli accordi si raggiungono solo così. Altrimenti ci si avvita nella nostra eterna «inconcludenza».
Quel testo, ha ripetuto più volte e pure ieri, è per un verso intoccabile, ma non del tutto irriformabile. Nella sua prima parte, costituita da principi, diritti e doveri del cittadino, sono sanciti grandi valori e indirizzi che restano assolutamente validi e attuali. Intangibili, insomma. Per la seconda parte, invece, che riguarda l’ordinamento, il dibattito su qualche rettifica dell’architettura istituzionale è in corso ormai da anni, infruttuosamente, ed è dunque lecito dire che «si può» (come prevede l’articolo 138) e anzi «si deve», intervenire.
Posto tutto ciò, gli studiosi e i delegati dei partiti che si accingeranno a dissodare questo delicato terreno dovrebbero agire senza tabù preventivi, senza aprioristiche preclusioni. L’importante è che, per ogni formula presa in considerazione — e sul nodo dell’evoluzione in senso presidenziale della figura del capo dello Stato è sul tavolo pure la soluzione francese — si calibrino con attenzione i pesi e i contrappesi necessari. Anche al di fuori della griglia tradizionale degli organi istituzionali.
Le sue aspettative sono queste e per la deriva che il dibattito sta prendendo, con propagandistici e quotidiani duelli tra partiti e con divisioni non proprio di dettaglio dentro gli stessi partiti, Napolitano davvero non vorrebbe che le riforme diventassero un tema secondario, nella missione dell’esecutivo. La sua speranza, dunque, è che sia incanalato lungo un percorso parallelo a quello degli altrettanto inderogabili provvedimenti anticrisi. Ma con lo spirito giusto, seriamente. Senza che qualcuno possa permettersi di avanzare il dubbio che già il porre la questione sia un espediente per far durare di più Enrico Letta a Palazzo Chigi.
Non è un retropensiero esageratamente allarmistico, quest’ultimo. Infatti quel sospetto sta già facendosi largo, in una certa parte del mondo politico (e non solo), assieme ad altre letture fuorvianti ed equivoche delle parole di Napolitano alla festa della Repubblica. L’indicazione dei «18 mesi per fare le riforme» — per capirci — non era affatto un perentorio limite temporale posto dal Colle alla sopravvivenza del governo.
Mutuando un confine cronologico indicato dallo stesso premier, il capo dello Stato si era limitato a segnalare la scelta «eccezionale» delle larghe intese — scelta che ha comportato qualche «sacrificio» dei partiti e che evidentemente è di per sé transitoria — su cui un mese fa è nato l’esecutivo.
Ancora: i suoi cenni recenti alla riforma elettorale non vanno tradotti, come pure alcuni hanno voluto fare, con un secco addio al bipolarismo. Non a caso si era preoccupato di precisare che «non sta scritto da nessuna parte che si debba tornare al proporzionale puro, quanto piuttosto salvaguardare il carattere maggioritario della legge». Sono un paio di esempi dell’ipersensibilità che scatta sempre, da noi, quando la politica si accinge a mettere in agenda le riforme costituzionali. Napolitano lo sa perfettamente e non se ne scandalizza più di tanto. Tuttavia gli preme preservare quel poco di buona volontà affiorata nelle ultime settimane. E la pragmatica scossa che ha dato ieri va esattamente in questa direzione.

 


Related Articles

Fico alla Vigilanza Rai: «Il canone? Pagherò»

Loading

Stefano (Sel) alla giunta per le Elezioni Il Pd abbandona il vendoliano Fava, al leghista Stucchi la guida del Copasir

Un Bersani nervoso cerca di rimuovere le ultime incognite

Loading

La sponda grillina si è confermata scivolosa, anzi ostile nei confronti di Pier Luigi Bersani. La consultazione fra il premier incaricato e i delegati del Movimento 5 stelle ha chiuso qualunque margine di dialogo.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment