Violenza sulle donne, 2,4 miliardi di costi sociali
ROMA – “L’Italia è uno dei pochi paesi europei a non aver ancora nessuna ricerca sui costi sociali della violenza sulle donne”. È quanto ha denunciato Titti Carrano, presidente dell’associazione D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, durante il convegno sul tema della violenza sulle donne organizzato dall’associazione oggi a Roma (vedi lanci precedenti). A confermare la mancanza di ricerche specifiche sui costi sociali, Linda Sabbadini, direttrice del dipartimento per le Statistiche sociali e ambientali dell’Istat, che ricorda come l’ultimo studio sulla violenza sulle donne risale al 2006, con numeri allarmanti. “Da quella indagine è emerso che erano 10 milioni le donne vittima di almeno una forma di violenza nella vita. Adesso lo studio si rifarà . Siamo nella fase di progettazione grazie al finanziamento delle Pari opportunità ”. Tuttavia, per andare a calcolare il costo sociale della violenza in Italia bisogna ricorrere a ricerche d’oltralpe. “Il Consiglio d’Europa stima che il costo medio annuo per persona della violenza domestica in Europa va da 20 a 60 euro pro capite – ha spiegato Sabbadini -, e parla di una stima di circa 33 miliardi di euro in un anno, 2,4 miliardi in particolare per l’Italia. Occorre però vedere la metodologia usata perché c’è da tener conto che in questo caso si considerano solo i costi diretti, non si considera la sofferenza e non si tiene conto che la violenza dell’oggi ha un impatto sul domani”.
Sabbadini ha anche sottolineato come la violenza sulle donne sia un “problema strutturale” del Paese. “Viviamo in una situazione in cui, mentre gli omicidi degli uomini sono crollati e sono diventati un terzo dell’inizio degli anni 90, i femminicidi non sono crollati – ha affermato -. Per intaccare il fenomeno c’è bisogno di politiche continuative e costanti”. Per Titti Carrano, però, a rendere più complicato il contrasto del fenomeno, c’è anche la mancata applicazione degli strumenti che la legge prevede per la tutela delle donne. “I tempi processuali per ottenere misure di protezione cautelare sono lenti – ha spiegato -. Anche gli strumenti a disposizione delle forze dell’ordine per garantire protezione sono poco e male applicati. Poco utilizzato è lo strumento di valutazione del rischio, c’è anche la scarsa applicazione dello strumento civile di allontanamento del coniuge o convivente maltrattato.
Mancano, inoltre, i dati sul numero di protezioni richieste, sulle denunce, sull’esito dei processi ed è un dato inconfutabile che una gran parte delle denunce viene archiviata o trova tardivo accoglimento con conseguente rischio di vita per le donne”. Tuttavia, ha aggiunto Carrano, “non significa che l’impianto normativo italiano non sia adeguato, sicuramente può essere migliorato. Ma il problema non sono le leggi, è la loro applicazione”. Una buona notizia, infine, arriva proprio durante la mattinata di lavori del convegno, con la presentazione del protocollo tra Anci e D.i.Re per promuovere progetti su tutto il territori nazionale. L’accordo, infatti, prevede la promozione dei centri antiviolenza e di una casa di accoglienza per donne maltrattate in funzione del numero di abitanti nei Piani sociali di zona, l’integrazione dei servizi, la sensibilizzazione degli enti locali, la promozione della formazione e il monitoraggio del fenomeno in vista della realizzazione di un osservatorio nazionale. (ga)
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