Più divario tra top manager e dipendenti I primi guadagnano 163 volte di più

Loading

È l’effetto della crisi economica che si ripercuote sulle società  occidentali investite dalla crisi, che reagiscono con politiche che non favoriscono la redistribuzione del reddito e l’attenuamento delle diseguaglianze. In sostanza, la crisi ha allargato la forbice della diseguaglianza sociale e quasi la metà  della ricchezza nazionale, circa il 47 per cento, è ormai concentrata nelle mani del 10 per cento delle famiglie.
I numeri emergono da un aggiornamento del rapporto sui salari 2012 della Fisac-Cgil (Federazione italiana assicurazione credito), che illustra anche come aumenti il distacco tra le retribuzioni dei top manager e quelle dei lavoratori medi. Dice Agostino Megale, segretario generale della Fisac, che si tratta di «una forbice che cresce, allargando senza freni le diseguaglianze, producendo un rapporto di 1 a 163 tra la retribuzione media di un lavoratore dipendente (pari a 26 mila euro lordi all’anno) e il compenso, sempre medio, degli amministratori delegati e dei top manager (pari a 4 milioni e 326 mila euro all’anno)».
Per il segretario della categoria del credito della Cgil, i numeri del rapporto sono scioccanti per il loro effetto sperequativo. Di conseguenza, questo «distacco enorme» tra chi guadagna stipendi piuttosto bassi, la stragrande maggioranza della popolazione, e chi guadagna stipendi stratosferici, e si tratta come abbiamo visto di una percentuale minima della popolazione, «richiede subito una legge che imponga un tetto alle retribuzioni dei top manager».
Infatti, continua Megale, «in questi sei anni di crisi il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni si è più che dimezzato mentre non hanno subìto alcuna flessione i compensi dei top manager, così come nessuna incidenza ha subìto quel 10 per cento di famiglie straricche, determinando e incrementando la vera forbice delle diseguaglianze».
Andando ad approfondire i numeri del dossier presentato dalla Fisac-Cgil, salta subito agli occhi come «il rapporto tra retribuzione lorda di un lavoratore dipendente e compenso medio di un top manager è attualmente di 1 a 163 mentre era nel 1970 di 1 a 20». È proprio qui, secondo Megale, che «c’è la vera ingiustizia». Di fatto, «il salario cumulato nei passati quattro anni da un lavoratore dipendente è pari a 104 mila euro lordi mentre per i top manager è pari a 17 milioni e 304 mila euro, con una esorbitante differenza di 17 milioni e 200 mila euro».
Non si può continuare su questa strada, dice ancora Megale, che propone «di realizzare unitariamente, non solo nella categoria del credito, il lancio di un disegno di legge di iniziativa popolare, accompagnato dalla raccolta di centinaia di migliaia di firme», raccolta che dovrebbe contestualmente essere accompagnata dalla «presentazione da parte del centrosinistra della legge di iniziativa parlamentare per porre un tetto alle retribuzioni nel rapporto uno a venti, immaginando che in tempi di difficoltà  come questo le quote eccedenti di compensi dei top manager possano essere versate in un fondo di solidarietà  per favorire un piano di occupazione per i giovani».
Occorrerebbe dunque tornare assolutamente, secondo il rapporto, a quel rapporto 1 a 20 del 1970 che sarebbe comunque sufficiente a garantire un grado di elevato benessere economico per i manager ma anche in contemporanea una redistribuzione della ricchezza che può aiutare le famiglie in difficoltà , e rilanciare i consumi.
c


Related Articles

«Pensioni, Irap, patrimoniale Risposte o addio dialogo»

Loading

Da Confindustria alle Coop: il «manifesto» per la crescita

L’OSTAGGIO

Loading

L’economia mondiale va a rotoli e quella italiana rotola più velocemente delle altre. Le borse non sono l’unico né il più fedele indicatore della salute dell’economia reale, ma in questo caso interpretano abbastanza bene la condizione materiale delle persone colpite dalle conseguenze disastrose provocate dal dominio di una finanza che ha spodestato la politica.

Eternit, l’ultima beffa alle vittime “Muore l’imputato, stop ai risarcimenti”

Loading

TORINO — Al processo per le oltre 2mila vittime dell’Eternit, il barone belga Louis De Cartier de Marchienne non si era mai presentato. Era l’imputato fantasma, quello di cui si sapeva meno, quello più anziano, quello di cui persino i giudici in primo grado avevano sbagliato a scrivere il nome, scambiandolo per il figlio.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment