by Sergio Segio | 10 Maggio 2013 7:33
Non ci si illuda, questa convenzione – se sarà costituita – non si limiterà a proporre poche e necessarie modifiche al testo della nostra legge suprema al fine di consolidarne i principi di fondo, ma – se avrà successo – finirà inevitabilmente per «innescare un processo ‘costituente’ suscettibile di travolgere l’intera costituzione» (come avverte Valerio Onida nella relazione finale del Gruppo di lavoro istituito da Napolitano). D’altronde, al di là della stessa forma che assumerà il revisionismo storico della costituzione (sia essa la convenzione ovvero la presentazione di progetti di legge costituzionali presentati dall’attuale ministro per le riforme) questo appare l’obiettivo di una classe dirigente in pieno collasso che rischia di trascinare con sé, nell’abisso, la nostra democrazia costituzionale.
Appare necessario opporsi a questa deriva, riaffermando le ragioni del costituzionalismo democratico. A favore dei diritti di cittadinanza, dell’eguaglianza sostanziale, delle libertà civili e del pluralismo politico. Contro il dominio del mercato e l’arroganza dei poteri selvaggi. Bisogna arrestare le politiche di stampo neoliberista e le torsioni neoautoritarie che da oltre vent’anni costituiscono il substrato ideologico e culturale delle politiche di governo. Invertire la rotta è possibile, ma solo se si sarà in grado di ricostruire un «campo» teorico e materiale alternativo, non subalterno alle concezioni dominanti, ma capace di esprimere una contro-egemonia.
Ardua impresa se si guarda alla cronaca che ha devastato le forze che erano più sensibili alle ragioni della democrazia costituzionale, alla salvaguardia dei diritti e delle libertà dei più deboli, alla divisione dei poteri costituiti e alla diffusione della sovranità popolare.
Ma la leggerezza della cronaca deve essere contrastata dalle ragioni di fondo della storia, dallo sguardo lungo che essa impone. Una storia che sappia ricomporre le fratture, ricostruire e guardare al futuro. Questa storia ha bisogno di idee. Quelle idee che sono mancate o che non si sono sapute comunicare. Contro la regressione culturale del presente, alzare lo sguardo è possibile.
È per questo che c’è bisogno di una vera convenzione. Una «Convenzione per la democrazia costituzionale» che sappia tornare a garantire i diritti e separare i poteri, senza cui la società – ci ricorda la Dichiarazione dei diritti del 1789 – «non ha una costituzione». Una convenzione partecipata e “dal basso”, visto il fallimento delle forze organizzate, ma che punta “in alto”, ad investire il Palazzo e le istituzioni, perché non vuole rimanere pura testimonianza. Un luogo d’incontro delle esperienze sociali, delle culture critiche e realmente innovative che sappia mostrare la forza della costituzione, la sua capacità di cambiare lo stato di cose presenti. È in nome della democrazia costituzionale che si può ricostruire dalle macerie disseminate in questi ultimi vent’anni.
La nostra convenzione, come Giano – il dio degli inizi – dovrà avere due facce. La prima rivolta a controllare e criticare l’operato dei «sovversivi» che proporranno di rafforzare i poteri e modificare la nostra forma di Stato tramite strumenti arbitrari, che si pongono al di fuori del rispetto delle regole imposte dall’art. 138; la seconda indirizzata a costruire una più solida democrazia costituzionale, qui e ora. Alcuni temi sono già all’ordine del giorno, specifiche proposte sono già state formulate, e dovranno costituire i primi momenti di riflessione collettiva: una definizione normativa e la disciplina dei beni comuni come beni essenziali alla sopravvivenza e alla formazione della personalità degli individui; un reddito di cittadinanza per garantire i diritti essenziali e la dignità delle persone; una nuova disciplina delle iniziative legislative popolari per ridurre lo iato che appare oggi incolmabile e terribile tra una società civile e una società politica che non possono continuare a essere impermeabili l’una all’altra; una nuova consapevolezza del web quale strumento essenziale per la costruzione della personalità che implica un diritto di accesso che sia costituzionalmente garantito.
Ma anche altri temi si impongono, di portata ancor più ampia che non possono essere rimossi, che richiedono il nostro impegno individuale di studiosi e una nuova riflessione collettiva.
Non ci si può scordare la profonda crisi in cui versa l’Europa e appare una necessità riprendere il discorso sull’Europa politica e sociale, in grado di tutelare i diritti fondamentali. È quest’ultimo un orizzonte ormai abbandonato, che deve essere riconquistato se si vuole prendere sul serio la Carta di Nizza e non ci si vuole arrendere all’Europa dei mercati e della finanza, se non si accetta di tornare all’Europa delle Nazioni più solide che dominano i Paesi economicamente più esposti.
Inoltre, non ci si può nascondere che nel nostro Paese si sta diffondendo un senso comune, acriticamente introiettato, che vede nella trasformazione in senso presidenziale della nostra forma di governo la soluzione della crisi della rappresentanza politica. È questa la via maestra attraverso cui può passare l’involuzione del nostro sistema di democrazia costituzionale. La questione centrale della rappresentanza politica non può essere lasciata ai cultori del presidenzialismo, deve essere rideclinata entro una prospettiva di diffusione del potere e di rafforzamento delle istanze di partecipazione dei cittadini.
Su tutti questi temi è necessario chiamare a raccolta tutte le forze critiche, tutti coloro che non si vogliono arrendere alla scomparsa di una prospettiva di cambiamento democratico del nostro ordinamento e della nostra società . Una «lotta per il diritto» che è parte essenziale di una decisiva battaglia per la ricostruzione di una cultura politica e costituzionale, dopo anni di sbandamento.
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