by Sergio Segio | 25 Maggio 2013 7:36
Lontano dal potere politico e ecclesiastico don Gallo lo è stato fin dall’inizio del sacerdozio nel 1959. Aveva attraversato la vicenda resistenziale come staffetta partigiana per poi intraprendere il noviziato salesiano e la missione in Brasile; esperienze che lo hanno segnato profondamente imprimendo i tratti della sua missione: in difesa degli ultimi, secondo l’insegnamento di don Bosco, ma senza dismettere le armi della battaglia politica. Quando nel 1962 si apre il Concilio, don Gallo è un giovane prete di città e come tanti suoi coetanei vive quell’evento come seconda Liberazione, come un’occasione per «ricomporre lo scisma tra il cattolicesimo romano e il mondo moderno». Nasce da qui il dissenso, nello scarto tra l’entusiasmo (e le fantasie) suscitate dall’annuncio della «nuove pentecoste» e una riforma della chiesa scandita dai compromessi e da continuità inaccettabili per quei giovani che vogliono realizzare il Regno in terra. Nasce nella chiesa, ma la chiesa fa parte del mondo, come ha ribadito lo stesso Concilio, e col Sessantotto la Liberazione diventa anche un obiettivo politico.
Nel 1964 don Gallo ha abbandonato l’ordine, dopo un’esperienza come cappellano nella nave-riformatorio della Garaventa, e si è trasferito presso la chiesa del Carmine. Siamo nella Genova conservatrice del card. Siri e di Baget-Bozzo, nella città delle lotte operaie e dell’incontro tra i giovani post-conciliari e le istanze della nuova sinistra. Le parole d’ordine dei gruppi genovesi sono nette, radicali: pauperizzare la chiesa e riscoprire la dimensione comunitaria e anticapitalista del cristianesimo. Nel 1969 il conflitto tra il gruppo San Camillo e l’autorità ecclesiastica è inevitabile e di questo scontro che costerà qualche anno dopo a don Zerbinati la sospensione a divinis don Gallo farà tesoro negli anni a venire. Intanto, la parrocchia del Carmine si evolve. Si trasforma in un punto di aggregazione, attraente per i giovani (non solo credenti) e soprattutto per gli emarginati. La pastorale ricorda quella delle teologie latinoamericane e punta a conciliare la forza del messaggio evangelico con l’utopia del marxismo, ma si tratta soprattutto di una pastorale «da marciapiede», accessibile a tutti. Quando nel 1970 arriva per ordine di Siri la rimozione dalla chiesa del Carmine, don Gallo ha già alla spalle un bagaglio importante che porta con sé nella fondazione di una nuova comunità presso la parrocchia di San Benedetto al Porto insieme a don Rebora. Sono gli anni Settanta e il dissenso si è organizzato nel movimento delle comunità di base, fioriscono esperienze rivoluzionarie come i Cristiani per il socialismo e il sacerdozio è messo duramente in discussione. In questo contesto don Gallo riesce a essere un outsider anche rispetto al dissenso. Non solo non rifiuta il sacerdozio, ma pretende che lo sguardo dei compagni si allarghi dalla lotta di classe ai marginali, ai tossicodipendenti, alle prostitute, agli alcolisti, a quelle minoranze che non rientrano direttamente nella dicotomia operai/capitale.
Con il «riflusso» della contestazione nel decennio successivo questo modo di vivere la chiesa fa scuola nei nuovi settori delle ong e del volontariato: don Gallo diventa un punto di riferimento. Le ultime battaglie del prete genovese sono storia recente: da quelle in difesa della Costituzione, al G8 di Genova contro la globalizzazione fino agli scontri con la Santa Sede sui diritti delle coppie lgbt e contro il «ruinismo». Vicino ai partiti della sinistra radicale e al mondo del lavoro, il prete genovese ha tenuto insieme il piano della politica, contaminandosi con i movimenti, con quello pastorale nella propria comunità e in una posizione di critica all’interno della chiesa. Questa sua decisione (e capacità ) di muoversi ai confini (ma rimanendo dentro l’istituzione) lo distingue da molti altri esponenti di quella galassia del cattolicesimo di sinistra dove viene solitamente collocato.
Come si è detto, don Gallo, era soprattutto un prete, un prete di quel Concilio da lui interpretato come l’annuncio di una rivoluzione terrena che rimproverava al «sistema di potere romano» di aver voluto affossare.
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