Un calcio ai diritti dei lavoratori

by Sergio Segio | 5 Maggio 2013 8:38

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Spesso i giocatori stranieri vengono boicottati, e vedono ritirato anche il passaporto «In Qatar pensano che con i soldi si può comprare qualsiasi cosa: ville, automobili di lusso e anche gli esseri umani…in quel Paese gli esseri umani non sono rispettati. I lavoratori non sono rispettati. Un Paese che non rispetta tutto ciò non può organizzare i Mondiali del 2022». Il nazionale marocchino Abdessalam Ouadoo non usa mezze parole. Lo scorso novembre ha lasciato, felicemente, il calcio qatariota per unirsi al Nancy-Lorraine. E ora ha deciso di dare libero sfogo a tutta la sua rabbia nei confronti di un Paese che non lo ha rispettato come calciatore e soprattutto come uomo. Assieme al collega franco-algerino Zahir Belounis punta l’indice contro la ricca Stars League, la Serie A del Qatar, che, tra le altre cose, non ha onorato i contratti siglati a suo tempo tra sorrisi, strette di mano e abbracci.
La vicenda dei due calciatori getta una nuova ombra su questo Paese, impegnato su tutti i fronti, spesso con trame segrete ed intrighi. Dalla controversa organizzazione della Conferenza sul clima ai Mondiali di calcio, dalle forniture di armi ai ribelli libici e siriani agli «investimenti» per centinaia di milioni di dollari a Gaza, fino ai prestiti miliardari con i quali ha comprato la politica estera dell’Egitto a trazione islamista. Senza dimenticare che la famiglia reale di sheikh Hamad bin Khalifa al Thani acquista tutto quello che può dall’Europa al Medio Oriente. Questa attività  frenetica in ogni settore economico, diplomatico e sportivo è un velo d’oro che serve a nascondere ciò che accade all’interno del paese.
Zahir Belouinis non ha ottenuto due anni di stipendio, gli impediscono di giocare e, più di tutto, di lasciare il Qatar. Vogliono costringerlo a raggiungere un compromesso al ribasso con il suo club, il Jaish. «Vivo una condizione pazzesca – racconta il calciatore – non posso muovermi liberamente, non posso giocare. Il mio futuro è compromesso. Nessun club farà  un contratto a un calciatore di 33 anni che non si allena e vede il campo di gioco da molti mesi». A Ouadoo i qatarioti si rifiutano di versare gli ultimi cinque stipendi. «Questo è niente – ricorda – la scorsa mi hanno obbligato ad allenarmi con temperature di 50 gradi pur di convincermi a rinunciare agli ultimi stipendi (prima di partire per la Francia, ndr). Hanno fatto di tutto per scoraggiarmi». Un comportamento, quello dei dirigenti qatarioti, che Stephane Burckhalter, segretario generale della sezione africana del sindacato internazionale dei calciatori FIFPro, dice di conoscere bene. «Sono in corso procedure volte a tutelare Belounis e Ouadoo – spiega – sappiamo che quando un giocatore (straniero) non è più nelle grazie dei dirigenti (delle squadre del Qatar, ndr), allora è boicottato, gli viene persino ritirato il passaporto». Ai calciatori in sostanza viene applicato il principio della kafala , ossia della sponsorizzazione di un cittadino del Qatar che ogni lavoratore straniero deve ottenere per entrare e rimanere nel Paese. Principio che, di fatto, annulla i diritti del lavoratore e lo mette totalmente nelle mani dello «sponsor» che nella maggior parte dei casi gli confisca il passaporto, rendendolo ricattabile. La protesta di Ouadoo e Belounis avviene nel momento peggiore per i dirigenti della Federazione Calcio del Qatar.
 La Confederazione sindacale internazionale sta facendo pressioni sulla Fifa affinchè sia ripetuto il voto che nel dicembre 2010 ha assegnato a Doha la sede dei Mondiali del 2022 per le violazioni aperte dei diritti dei lavoratori in quel Paese, dal salario alla sicurezza. Le autorità  del Qatar sono corse al riparo e hanno garantito su una serie di «riforme». Sino ad oggi è cambiato ben poco. Human Rights Watch meno di un anno fa ha denunciato che i manovali asiatici in Qatar sono gravemente sfruttati e avvertì che le condizioni sul posto di lavoro saranno persino peggiori quando partiranno i lavori per i Mondiali. «Il governo (del Qatar) deve assicurare che suoi stadi per la Coppa del Mondo non saranno costruiti sugli abusi e lo sfruttamento dei lavoratori (stranieri)», ha detto Sarah Leah Whitson, direttrice di Hrw in Medio Oriente, illustrando un rapporto di 146 pagine sulle enormi commissioni che gli asiatici pagano per il reclutamento al lavoro, la confisca dei passaporti, il potere che il paese accorda ai datori di lavoro e sulla proibizione per i migranti di aderire ai sindacati e di scioperare. Per costruire gli stadi che ospiteranno i primi Mondiali organizzati da un Paese arabo, il Qatar aveva annunciato di voler «importare» un milione di lavoratori stranieri.
 Cifra ridotta a mezzo milione dopo che le autorità  di Doha hanno avviato trattative con la Fifa per ridurre il numero degli stadi da realizzare da 12 a 8-9. I sindacati internazionali non mollano e ripetono che senza garanzie e diritti per tutti i lavoratori, dai calciatori fino ai muratori, il Qatar non può organizzare i mondiali. E se la Federazione calcio del Qatar suda freddo, non sta meglio quella dei cugini del Bahrain. Sheikh Salman bin Ibrahim al Khalifa, membro della famiglia regnante, è accusato di «aver comprato» non pochi dei 33 voti (su un totale di 46) che di recente gli hanno permesso di ottenere la carica di presidente del calcio asiatico e un posto nell’esecutivo della Fifa. I centri dei diritti umani inoltre lo accusano di aver praticato pesanti abusi durante la dura repressione della rivolta popolare di due anni fa Piazza della Perla a Manama.

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