Turchia, il Pkk si ritira in Iraq Duemila guerriglieri in viaggio

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Sono circa 2000 i guerriglieri che nei prossimi 3-4 mesi passeranno la frontiera, riparando in Nord Iraq, dove si trovano i campi più importanti del Pkk e dove il presidente della Regione Autonoma Curda, Massoud Barzani, di concerto con il governo di Ankara, è pronto ad accoglierli, offrendo loro una nuova vita e possibilità  di inserimento nella società .

Stando a quanto riporta il quotidiano filogovernativo Sabah, nelle ultime ore sono arrivati nel sud est del Paese medici che parlano in curdo, i posti di blocco sulla frontiera sono stati allentati e i guardiani del villaggio, gente di etnia curda, incaricata dallo stato turco di controllare il territorio, sta lentamente vedendo diminuiti i loro margini di azione. Il quotidiano Milliyet scrive che il ritiro è già  iniziato da 48 ore ma non sarebbe stato detto nulla per limitare al massimo gli incidenti e i rischi. I primi a muoversi sarebbero stati i 40 militanti che stazionavano sul Mar Nero, uno dei luoghi meno congeniali all’organizzazione separatista, vista la forte componente nazionalista della regione. Per agevolare le operazioni, il governo avrebbe anche disattivato i droni puntati sul confine con il Nord Iraq. L’agenzia Firat news, vicina al Pkk, parla di ritiro pianificato e ordinato.

 Il processo ha preso avvio ufficialmente lo scorso 21 marzo, quando in occasione del Nevruz, il capodanno curdo, Abdullah Ocalan, fondatore del Pkk e detenuto sull’isola di Imrali, aveva chiesto all’organizzazione di abbandonare la lotta armata e ritirarsi. L’appello è arrivato dopo tre mesi di negoziati con il governo turco, dove “Apo” sta agendo da mediatore e il cui punto principale sarebbe la fine della lotta armata in cambio dei riconoscimenti costituzionali che la minoranza attende da decenni.

Per cantare vittoria, è decisamente troppo presto. Il Bdp il partito curdo in parlamento, ha accusato il governo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan di aver compiuto alcune operazioni militari nei giorni scorsi che rischiano di minare l’intero processo. Dall’altra parte il premier Erdogan ha criticato le modalità  con le quali l’organizzazione sta gestendo il ritiro dalla Turchia, in particolare l’annuncio della data ufficiale di inizio delle operazioni. “L’annuncio della data – ha detto Erdogan ieri durante il discorso al suo gruppo parlamentare – è sbagliato. Voglio dire, se tu hai intenzione di fare una cosa, non c’è bisogno di annunciare la data precisa. Il punto principale è deporre le armi e andarsene”. Il primo ministro si riferiva alla conferenza organizzata dal Pkk lo scorso 25 aprile e che ha polarizzato tutta l’attenzione del processo sull’organizzazione e non sugli sforzi del premier.

 Il Partito curdo è preoccupato e teme operazioni militari contro i guerriglieri sulla strada del ritiro. “Considereremo il governo responsabile di ogni operazione militare” ha detto Gultan Kisanak, co-segretario del Bdp.

La situazione interna del Paese non è certo più tranquilla. Gruppi di nazionalisti rappresentano una minaccia costante per la sicurezza interna, soprattutto nel sud-est del Paese, dove la minoranza curda è più numerosa. I sondaggi mostrano l’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo guidato da Erdogan, in calo sensibile dei consensi proprio a causa della trattativa.

C’è poi il problema, enorme, della nuova costituzione. L’opposizione laica e quella nazionalista hanno abbandonato i lavori in segno di protesta nei confronti della trattativa e contrari al progetto di riforma presidenzialista di Erdogan, che l’anno prossimo ambisce a diventare capo dello Stato con super poteri. Il premier è in un momento di difficoltà  e rischia di vedere sfumare i suoi sogni di gloria. Proprio ieri i giornali riportano le dichiarazioni di Abdullah Gul attuale Capo di Stato, sempre più in rotta di collisione con il primo ministro e suo possibile avversario alle prossime presidenziali, che si rammaricava per il nulla di fatto a cui sono arrivati i lavori sulla bozza fino a questo momento. Un messaggio chiaro per Erdogan: la trattativa con i curdi, che doveva rappresentare il suo capolavoro politico, rischia di ritorcersi contro. E il premier, in previsione delle elezioni politiche, presidenziali e amministrative ha assolutamente bisogno di tornare con gli indici di popolarità  ai massimi livelli.


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