by Sergio Segio | 3 Maggio 2013 6:59
ROMA — Settanta minuti di alta tensione sulle nomine, con Angelino Alfano e l’intera delegazione del Pdl asserragliati nello studio del presidente del Consiglio, rimasto da solo a fronteggiare gli appetiti e le ire degli alleati-avversari. Problemi di nomi e di competenze, ma soprattutto (come da tradizione) di quote e bilancini. Braccio di ferro sul nome di Gianfranco Miccichè, che Berlusconi ha fortemente voluto come sottosegretario alla Funzione pubblica, con buona pace del ministro Gianpiero D’Alia.
Molte le sorprese, tra cui Antonio Catricalà viceministro allo Sviluppo. Riconfermati anche Marta Dassù, Marco Rossi Doria e Maria Cecilia Guerra. Mentre non entra a fare parte della squadra «di servizio» un altro esponente di spicco del governo Monti, Piero Giarda. L’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento era in pole position da giorni, anche nel governo erano in diversi a pensare che potesse essere la persona giusta per «guidare la finanza pubblica», ma all’ultimo il professore ha preferito tirarsi fuori.
Il puzzle è stato molto più complicato del previsto e ha impegnato fino a tarda sera il capo del governo e i suoi ministri. Convocato per le 20.30, il Consiglio dei ministri è iniziato alle 21.40, segno che la trattativa fra i partiti si è bruscamente inceppata. Ma alla fine la mediazione è saltata fuori, tanto che Letta è entrato in Consiglio dei ministri assieme al vicepremier, Angelino Alfano.
Non è stata una serata facile, a Palazzo Chigi. Per oltre un’ora i ministri hanno fatto anticamera in un clima di attesa e nervosismo, compulsando i telefonini in filo diretto con i vertici dei rispettivi partiti. Chi è dentro? E chi sono gli esclusi eccellenti? Molto si è discusso sul nome di Stefano Fassina, il responsabile Economia del Pd: l’onorevole, già leader dei «giovani turchi», aveva espresso forti dubbi sulla squadra di via XX Settembre e Letta ha strategicamente deciso di «riassorbire» il dissenso nominandolo viceministro di Saccomanni. Se a Fassina è stata affidata la delega alla riforma fiscale è proprio per coinvolgerlo nelle responsabilità di governo e facilitare la ricerca di un compromesso sui temi esplosivi, come l’Imu e l’Iva.
Roberto Reggi, braccio destro di Matteo Renzi durante la battaglia delle primarie, è stato depennato nelle ultime ore con grande sorpresa del sindaco di Firenze. L’ex primo cittadino di Piacenza non ha voluto commentare, ma gli amici raccontano che sia rimasto male e parlano di «veti diretti e mirati», che sarebbero stati imposti da Pier Luigi Bersani in persona. «Peccato, sarebbe stato un modo per superare i veleni del passato…. Il Pd non ha capito che è ora di pacificare gli animi — si è sfogato Reggi con i suoi —. Con tutti i problemi che hanno se la prendono con me?».
Nel Pdl Michaela Biancofiore, l’«amazzone» berlusconiana che era data in corsa per una poltrona agli Esteri, è stata superata in zona Cesarini da Bruno Archi, l’ex consigliere diplomatico del Cavaliere che, qualche mese fa, ha testimoniato al processo Ruby. Nel Pd la battaglia è stata durissima. Gli ex ds hanno preteso un riequilibrio forte e visibile rispetto alla componente cattolico moderata e così bersaniani, dalemiani, e fassiniani hanno tirato ciascuno la coperta dalla propria parte. Enzo De Luca, sindaco di Salerno, approda a sorpresa ai Trasporti. Sesa Amici approda ai Rapporti con il Parlamento da sottosegretario di Dario Franceschini, il ministro che ha condotto le trattative. Maurizio Martina, giovane segretario regionale del Pd lombardo, bersaniano di ferro, conquista la delega all’Expo. E chissà se è vero che Piero Fassino abbia «molto brigato» per la moglie Anna Serafini, visto che la ex senatrice non ce l’ha fatta. Escluso in extremis anche il veltroniano Marco Minniti: un caso, visto che da giorni sembrava avere in tasca la delega ai Servizi segreti. Roberta Pinotti riconquista un posto alla Difesa, mentre resta fuori Giampaolo D’Andrea, sottosegretario uscente del governo Monti molto stimato in Parlamento.
Il sacrificio più grande il premier lo ha chiesto agli amici, a quei giovani parlamentari che possono fregiarsi del titolo di «lettiani». Se pure avevano accarezzato l’idea di uno strapuntino al governo i fedelissimi del premier sono rimasti fuori, per fare largo ad altre aree del Pd. «Enrico ci ha chiesto il beau geste…» conferma Paola De Micheli, fino a ieri in corsa come sottosegretaria in un ministero economico. La voce dell’onorevole è allegra e, all’apparenza, non tradisce rimpianti: «C’è un sacco di lavoro da fare per noi, anche in Parlamento». Francesco Boccia, che tra i lettiani doc è uno dei più preparati, è in corsa per la presidenza della commissione Bilancio della Camera, con ottime probabilità di farcela. E se Lapo Pistelli va agli Esteri da viceministro è perché, pur essendo stimatissimo da Letta, sulla bilancia delle correnti del Pd risulta essere altrettanto vicino a Dario Franceschini, uno dei ministri più influenti dell’intera compagine.
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