“Stop alla formazione non pagata e largo a nuovi ammortizzatori”

by Sergio Segio | 20 Maggio 2013 9:38

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ROMA — «Basta con gli stage che si susseguono uno dopo l’altro, basta con l’idea che si possa far lavorare le persone gratis. I contratti formativi devono avere come obiettivo la stabilizzazione del rapporto di lavoro». Susanna Camusso, segretario generale della Cgil guarda con interesse e anche cautela al prossimo piano del governo per il lavoro dei giovani. E quando la leader della confederazione dice che bisogna riservare una parte degli investimenti esclusivamente per creare lavoro per i più giovani finisce probabilmente per ammettere che qualche distrazione nei confronti delle nuove generazioni ci sia stata pure tra i sindacati. Per quanto precisi: «Nessuno dei nostri padri si è trovato di fronte a una crisi come questa con cinque anni consecutivi di recessione».
Camusso, cosa pensa della prime linee del piano del governo per l’occupazione giovanile?
«Che per ora siamo di fronte a indicazioni. Vedremo nel merito. Certo c’è la youth garantee europea. È forse l’unico atto sociale della Commissione di Bruxelles in questa stagione. Non è una rivoluzione, sia chiaro, né sono clamorose le risorse. Ma è importante che ci sia, soprattutto per un paese come il nostro. Perché consente di mettere in campo idee per i giovani e fare un po’ d’ordine».
Cosa intende dire?
«Che va chiusa la stagione in cui si riteneva che i giovani potessero lavorare gratis. Questa può essere l’occasione per far diventare gli stage o i tirocini dei veri rapporti di lavoro formativi. E può essere l’occasione pure per ritornare a parlare di politiche attive per il lavoro, dopo che è scaduta la delega al governo per il riordino delle agenzie per il lavoro. Infine si deve ricominciare a ragione intorno alle politiche
fiscali finalizzate al lavoro».
Durante la campagna elettorale il Pdl ha proposto l’azzeramento delle tasse per i nuovi assunti. Lei sarebbe d’accordo?
«Per il Pdl c’è sempre il “meno tasse” di qualunque cosa si parli. Quindi non vale. Credo che si debba introdurre una fiscalità  di vantaggio per chi assume. E credo che si debba operare sul fisco più che sui contributi sociali per gli effetti negativi, in termini di costi per la collettività , che potrebbe avere una riduzione dei contributi ai fini previdenziali».
Per quanti anni dall’assunzione non si dovrebbero pagare le tasse?
«Il problema non è questo. Ciò che è importante è che non si diano sgravi a pioggia. Perché alla fine, come è successo per la nascita delle imprese, i rapporti di lavoro resterebbero in piedi fino a quando ci saranno gli sconti fiscali. Dunque servirebbe un meccanismo premiale: lo sconto fiscale va a chi stabilizza nel tempo il rapporto di lavoro».
Basta questo per creare occupazione o forse servirebbero anche gli investimenti da parte delle imprese?
«È da tempo che lo sosteniamo. In un paese come il nostro bisogna capire che il nuovo lavoro va creato. Tralasciando il tema dei nuovi investimenti, ritengo innanzitutto che si debbano mettere in moto gli investimenti già  a bilancio e quelli autorizzati dal Cipe di cui si è persa traccia. E ancora va attuata la ristrutturazione dei fondi strutturali europei avviata dal ministro Fabrizio Barca. Dentro questa politica una parte degli investimenti andrebbe vincolata alla
creazione di lavoro giovanile».
È quasi la prima volta che il sindacato italiano mette al centro la questione della disoccupazione giovanile. È un’autocritica?
«Non credo si possa dire una cosa del genere. Forse alcune scelte sono state nel passato poco visibili. Di certo di fronte alle diseguaglianze create dalla crisi bisogna mettere in campo politiche per ridurre le disparità ».
Basta una manutenzione della legge Fornero, come dice il governo, o la Cgil chiede una radicale modifica?
«Ogni giorno che passa dimostra quanto fosse sbagliata quella legge. Credo che si debba smettere di proporre regole per costruire eccezioni e, invece, si dovrebbe puntare sul ruolo della contrattazione tra le parti sociali. Per esempio tra le urgenze non c’è quella di ridurre i vincoli ai contratti a termine bensì quello di disegnare un sistema di ammortizzatori sociali universali».
Come lei sa bene, non ci sono i soldi.
«Non c’è dubbio. Però seguendo questa logica continuiamo a finanziare la cassa integrazione in deroga. Forse sarebbe stato meglio avere un istituto uguale per tutti».
Con la Confindustria siete a un passo dall’accordo sulla rappresentanza sindacale. Può servire per affrontare meglio la crisi?
«Sì. Dopo una lunga stagione di scontro è giunto il momento di dare regole ai rapporti tra le parti. I tempi sono più che maturi e i sindacati sono pronti: hanno una proposta unitaria che speriamo possa essere accolta dalla Confindustria nelle prossime ore. Speriamo che prevalga il buonsenso e non la vecchia logica delle divisioni».

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