Se la Primavera americana è gonfiata dai Dollari della Fed

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Ma bastano i numeri del mercato del lavoro di aprile migliori (ma non di molto) rispetto alle previsioni per produrre un’ondata di ottimismo tra operatori evidentemente stanchi di sedere, mesti, al capezzale di un’economia perennemente convalescente.
Certo, da questo lato dell’Atlantico non c’è recessione come in Europa, ma la ripresa è ancora di una lentezza esasperante, a quasi sei anni dall’inizio di una crisi finanziaria epocale, innescata dal deragliamento dei mutui subprime.
Ma la Fed continua a rassicurare tutti promettendo che seguiterà  a immettere liquidità  nel sistema fino a quando la disoccupazione non scenderà  a livelli molto più bassi di quelli attuali. E i numeri di ieri, in sé non determinanti, segnalano tuttavia una solidità  di fondo del sistema economico americano, una capacità  di creare un po’ di lavoro anche in una fase di scarso dinamismo produttivo: fenomeni che in questo momento hanno un particolare valore psicologico.
Da diversi anni le speranze di ripresa di un inverno abbastanza dinamico vengono infrante, ogni volta, da una «maledetta primavera» di improvviso stallo nella creazione di nuovi posti di lavoro. Stavolta le cose sembrano prendere una piega diversa nonostante i tagli automatici della spesa pubblica federale scattati due mesi fa. Misure che, insieme all’aumento delle tasse deciso a Capodanno, avevano fatto temere un forte rallentamento dell’economia e una perdita di fiducia degli operatori.
Per adesso quelle fosche previsioni non si sono avverate: il dinamismo delle imprese private è riuscito ad assorbire l’urto della crisi di un settore pubblico che non solo non crea più occupazione aggiuntiva, ma è costretto a ridurre il numero di insegnanti, impiegati, pompieri e poliziotti che ha a libro paga.
I dati di ieri rappresentano, insomma, un’iniezione di fiducia, al di là  della portata delle correzioni. Il calo della disoccupazione al 7,5 per cento, i 165 mila posti in più di aprile, e, ancora di più, le revisioni che hanno certificato un andamento dei mesi precedenti migliore di quello che era apparso (a febbraio l’occupazione è cresciuta addirittura di 332 mila unità ) tracciano il profilo di un sistema economico che non si chiude in sé stesso, spaventato, ma è capace di reagire. Un sistema che riesce a distribuire il lavoro tra un numero maggiore di soggetti pur in presenza di una crescita pigra.
Ma i numeri, come detto, non sono tutti positivi: a parte il calo degli ordini dell’industria, un campanello d’allarme è quello della diminuzione delle ore lavorate, in media, da ogni dipendente. Un fenomeno che finirà  per riflettersi negativamente sulla produttività  del sistema. Anche i «trend» dei singoli settori ora sembrano meno chiari: il forte recupero delle costruzioni e dell’industria manifatturiera registrato nei mesi scorsi sembra essersi fermato. Le fabbriche hanno fatto un ricorso minore al lavoro straordinario.
Ma c’è anche, per la prima volta, un notevole calo del numero dei disoccupati di lungo periodo, quelli che sono rimasti lontani dal mercato del lavoro per più tempo e che sono più difficili da recuperare. Insomma, un quadro contraddittorio, i timori di una nuova bolla, ma con semi di fiducia piantati in una primavera che per la prima volta dal 2007 ha i colori della speranza.
Massimo Gaggi


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