SE IL PIANETA SPRECA IL CIBO

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Ieri sono morte più di 20mila persone. Di fame. E oggi non ne parla nessuno. Sempre ieri, con il cibo che l’Europa ha sprecato in 24 ore, si sarebbero sfamate 200mila persone. Parte della terra e delle risorse e delle energie con cui abbiamo prodotto il cibo che abbiamo mangiato appartengono a quelle persone. Così come appartengono a loro terra energie e risorse utilizzate per produrre il cibo che ieri abbiamo sprecato.
Il nostro cibo viene sprecato ad ogni passaggio e ad ogni fase della sua produzione. Ogni volta un po’. E per ragioni diverse avviene in tutto il mondo, anche nel mondo povero. La “geografia” dello spreco vede, nelle diverse aree del pianeta, picchi in fasi diverse della filiera, ma il risultato non cambia: un terzo del cibo che globalmente viene prodotto non nutre nessuno.
E un cibo che non nutre nessuno non è solo inutile, è anche dannoso. Ed è la dimostrazione che il sistema “moderno”, “razionale” di produrre e distribuire cibo è un sistema basato sullo sperpero dei beni comuni a vantaggio di profitti privati.
Il cibo che non nutrirà  nessuno ha usato risorse naturali, ha usato tempo, ha usato energia, ha usato acqua, sole, salute pubblica, cultura, creatività , ricerca. E per qualche perversa ragione si è creata una situazione per cui buttare tutto questo nella spazzatura a qualcuno conviene.
Ovvero: a qualcuno conviene che muoiano ogni giorno 20mila persone, che una persona su 7 ogni sera vada a dormire avendo fame; a qualcuno conviene produrre in modo incosciente per poi vendere in modo insensato; e a qualcun altro ancora conviene portare tutto in discarica in modo sconsiderato, rapinando ancora risorse, energia e tempo; a nessuno conviene acquistare in modo sconsiderato per poi buttare in modo sconsiderato, ma a qualcuno… piace, oppure lo trova normale, o inevitabile, o un segnale di benessere. Quando si parla di spreco al consumo, non si parla solo delle famiglie, dei privati. Si parla degli hotel, dei ristoranti, delle mense scolastiche, di tutte quelle situazioni in cui il consumo è sconnesso dalle relazioni.
Relazioni tra chi consuma e relazioni tra chi consuma, chi produce, chi trasforma, chi vende, chi comunica. Quando queste relazioni esistono Slow Food parla di Comunità  del Cibo. E le comunità  non sprecano. E lo dimostreranno e racconteranno in 300 piazze d’Italia oggi (www.slowfood.it), con il terzo Slow Food Day dedicato proprio allo spreco alimentare.
Secondo la Fao, è possibile ridurre la perdita e lo spreco di cibo del 50% attraverso una filiera post-raccolta più sostenibile. Inoltre, ridurre il consumo di carne e prodotti lattiero- caseari insieme al greening delle pratiche agricole può ridurre le emissioni di metano e protossido di azoto più dell’80% entro il 2050.
È tempo di Pensare. Mangiare. Salvare: Riduci la tua Impronta (Think.Eat.Save: Reduce Your Footprint), i 3 principi di una campagna globale lanciata da Unep (il programma ambientale delle Nazioni Unite) e dai suoi partner per combattere la perdita e lo spreco di cibo. Alla base di questa campagna c’è la consapevolezza che la soluzione è praticabile: con comportamenti di consumo più consapevoli, con pratiche di produzione più sostenibili, possiamo smettere di sprecare e ridurre l’impronta ecologica di ciò che mangiamo.
Per sostenere questa campagna, Unep, insieme alla Fao e ad altri partner (come Wrap-Uk e Slow Food) sta lavorando sullo sviluppo e la messa a punto di una metodologia per governi e imprese che sviluppino piani di riduzione dello spreco di cibo. Sta anche progettando di lavorare in particolare con hotel, ristoranti e grande distribuzione per sviluppare e divulgare le migliori pratiche.
Perché la lotta allo spreco sia davvero efficace non basta far sì che il cibo non usato venga destinato ad associazioni ed enti che possono distribuirlo ai loro beneficiati. Una parte della soluzione, quando il problema esiste già , certamente può essere in queste attività  meritorie. Ma la soluzione vera sta in una produzione più ragionevole, che si ponga dei limiti, che rispetti le risorse comuni. Sta in un acquisto misurato, gentile verso il pianeta e verso noi stessi, sobrio e non nevrotico. Sta in politiche alimentari che sappiano connettere la produzione di cibo con l’ambiente, la salute e i diritti.
(insieme a Carlo Petrini firma questo articolo Achim Steiner, sottosegretario generale e direttore esecutivo del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite)


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