Riyad, la sfida dei principi per il regno del petrolio

by Sergio Segio | 13 Maggio 2013 7:53

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RIYAD. Nei centri commerciali di Riyad gli uomini camminano guardandosi intorno con aria rilassata. A poca distanza da loro, nei negozi le commesse si muovono fra rossetti e capi di biancheria intima: tutto intorno, ragazzi e ragazze digitano freneticamente sulle tastiere dei loro telefonini. Eman al Nafjan passeggia fra di loro sorridente: «Tre anni fa tutti loro sarebbero stati fermati — dice la blogger sorseggiando un caffè — le donne perché lavoravano in un luogo pubblico, gli uomini perché l’accesso era alle zone commerciali era ristretto alle sole famiglie per evitare il contatto fra persone di sessi diversi, i ragazzi perché usavano i cellulari per flirtare. Ora tutto è diverso. Questo è l’inizio della nostra rivoluzione: non sarà  spettacolare come le altre Primavere arabe, ma sta avvenendo».
Riyad, capitale dell’Arabia Saudita: in un mondo arabo che negli ultimi due anni è stato sconvolto dal ciclone delle Primavere, al primo sguardo questo sembra un angolo protetto. Al visitatore che ci sbarca dopo qualche anno d’assenza, la città  dà  l’impressione che nulla sia cambiato. Il profumo dei gelsomini della Tunisia qui
annega nella puzza di smog. Della rabbia che si respira nelle vie del Cairo non c’è traccia. Il sangue che ha imbrattato in marciapiedi di Sana’a è un’immagine lontana.
Ma le prime impressioni spesso ingannano, nell’Arabia Saudita di oggi più che mai. «La Primavera è arrivata anche qui — conferma Khaled Almaeena, direttore di Saudi Gazette, quotidiano in lingua inglese del Paese — la rivoluzione è sotto gli occhi di tutti: basta solo cercarla». Il giornalista ha ragione: Riyad oggi non è la stessa città  di qualche anno fa. E non sono solo i centri commerciali a raccontare il cambiamento. In poco tempo, la capitale saudita si è trasformata la città  al mondo con più utenti Twitter procapite: 24 ore su 24, qui, come nel resto del Paese, la Rete è un megafono costante che urla contro il governo e la casa reale. Liberali e conservatori si scambiano accuse reciproche
o insieme si scagliano contro i principi considerati più corrotti. Tre anni fa, una contestazione simile sarebbe stata inconcepibile: oggi il fenomeno è così diffuso che fermarlo è impossibile. Memore dei risultati della repressione negli altri Paesi arabi, per ora il governo si limita a monitorare gli account più critici e vigila che dal web la protesta non arrivi nelle strade.
Intorno l’aria è sospesa, tutti sembrano in attesa di qualcosa di
cui nessuno osa apertamente parlare: “successione” è la parola proibita, che neanche un giornalista importante come Almaeena pronuncia con leggerezza. «Non abbiamo mai vissuto un momento così», si limita ad ammettere.
Difficile dargli torto: in poco più di due anni, Abdallah (uno degli ultimi figli del fondatore del regno, Abdulaziz) l’anziano re che dal 2005 governa il Paese, ha visto morire due principi ereditari, i
fratelli minori Sultan e Nayef, rispettivamente 83 e 77 anni. Anche la salute del 90nne sovrano da tempo desta preoccupazione: ogni volta che si diffondono notizie su un problema, le strade delle città  si svuotano, i negozi restano deserti e la gente trema.
Tutti sanno che alla morte del re tutto cambierà , ma nessuno sa dire come: finora il regno è sempre stato nelle mani di uno dei figli del fondatore, ma dopo Abdallah ci sono solo il principe Salman, 77 anni e una salute poco solida, e Muqrin, 70 anni, il più giovane dei figli di Abdulaziz ancora in vita. Poi la lista si chiude: «Nessuna legge stabilisce quale fra le centinaia di nipoti del fondatore abbia diritto a salire sul trono quando gli anziani zii moriranno — dice lo studioso americano Simon Henderson
— nessuno sa cosa accadr࠻.
Così, ogni mossa ai vertici del regno è scrutata come un segnale per indovinare il futuro: qualche mese fa la nomina di uno dei principi più in vista della seconda generazione, il 53nne Mohammed bin Nayef, a ministro dell’Interno ha scatenato un terremoto. Ma Mohammed non è l’unico candidato a succedere allo zio: la lotta nel ristretto gruppo dei principi più forti è accesissima. «Possiamo solo sperare — sospira Almaeena — che fra loro ci sia un Gorbaciov: questo Paese non potrà  restare fermo a lungo, altrimenti rischia di esplodere».
Le parole del giornalista sono condivise da tutti in Arabia Saudita: negli ultimi 10 anni il paese ha affrontato cambiamenti inimmaginabili prima di allora. Salito al trono con la fama di conservatore, re Abdallah si è rivelato quasi un rivoluzionario per gli standard locali: ha aperto un dibattito sui diritti delle minoranze religiose e la libertà  di stampa e si è presentato come un paladino dei diritti femminili. Il problema è dove porteranno questi cambiamenti quando lui non ci sarà  più: gli ambienti più conservatori non nascondono ostilità  contro la sua politica e sono pronti a far sentire la loro voce con il successore del re, chiunque sia. «Non possiamo accettare valori che non ci appartengono: questo Paese è come un corpo, se la pressione è troppo alta scoppia. E le conseguenze saranno pesanti », dice il professor Mohammed Al Hodaif, un islamista che ha fatto anni di carcere per le sue idee.
Al Hodaif vorrebbe che la sua patria tornasse verso i valori più conservatori dell’Islam: meno aperture verso le donne e gli Stati Uniti, per cominciare. Dal lato opposto ci sono persone come Al Nafjan e Almaeena, che vorrebbero un regno più aperto e moderno. La posta in ballo è altissima: l’Arabia Saudita controlla buona parte delle riserve petrolifere mondiali e ogni scossone al vertice avrebbe pesanti ripercussioni sull’economia di mezzo mondo. Per non parlare del fatto che è il Paese che ha dato i natali a Osama Bin Laden e a 11 dei 15 attentatori dell’11 settembre: nessuno, Washington in testa, vuole vederlo vivere una fase di incertezza, nel timore di un ritorno dell’estremismo.
La casa reale sa di avere gli occhi del mondo addosso cerca di tranquillizzare: «La Primavera per noi non è un’onda veloce, ma un fenomeno di lungo periodo: saremo in grado di sfruttarlo nel modo migliore» dice nel suo ufficio Sultan bin Salman, figlio del principe ereditario. Impossibile oggi dire se ha ragione e se gli Al Saud riusciranno anche questa volta a controllare la rabbia della loro gente.

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