Riforme costituzionali: si parte il 29 maggio

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ROMA — Il calcio di inizio della procedura per avviare le riforme sarà  dato il 29 maggio alla Camera, quando verrà  discussa una mozione di indirizzo per varare la Convenzione e dare incarico al governo di costituire il Comitato che fornirà  i materiali giuridici. Per mettere in cantiere la Convenzione, che altro non è che un organismo bicamerale composto dalle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, è necessaria la stessa procedura prevista per le leggi costituzionali, ovvero una doppia lettura di entrambi i rami del Parlamento con un intervallo di non meno di tre mesi l’una dall’altra. L’annuncio ufficiale è del ministro per i rapporti con il Parlamento Dario Franceschini al termine di una riunione dei capigruppo a Montecitorio: «Il 29 prenderà  l’avvio alla Camera e al Senato». Franceschini si augura che anche le opposizioni sottoscrivano il documento della maggioranza.
Dopo l’approvazione delle mozioni che chiariranno gli ambiti entro i quali sarà  chiamato a pronunciarsi il Parlamento, verrà  insediato il Comitato. Al momento si sta ragionando su uno schema che può essere riassunto così: l’organismo sarà  composto da tecnici rappresentativi di tutte le aree culturali e politiche, seguendo un criterio proporzionale puro rispetto ai voti presi e non in ragione dei seggi conquistati con il premio di maggioranza. Una volta definito il numero (dovrebbe essere di una ventina di membri) ciascun partito presenterà  una propria rosa di nomi che non siano parlamentari. E all’interno di essa il governo pescherà  gli esperti che dovranno elaborare i testi di riforma. Si sa, per esempio, che i grillini potrebbero indicare Stefano Rodotà , il Pd Stefano Ceccanti e Luciano Violante, i montiani Vincenzo Lippolis, il Pdl Nicola Zanon. Sono voci che circolano benché allo stato attuale non vi sia ancora un elenco dettagliato. In ogni caso, a integrare questo comitato vi saranno anche i rappresentanti delle alte magistrature: i presidenti (o loro delegati) della Corte costituzionale, della Corte dei conti e del Consiglio di Stato.
In attesa che si definisca questa struttura operativa (lo capiremo entro la fine del mese), il governo va avanti seguendo lo schema messo a punto nel ritiro di Sarteano. Mercoledì ci sarà  l’audizione del ministro Gaetano Quagliariello, davanti alle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato in seduta congiunta, durante la quale illustrerà  le linee guida che l’esecutivo di larghe intese intende seguire. Subito dopo, lo stesso Quagliariello sentirà  i partiti sulla legge elettorale per definire quegli interventi «di manutenzione minima per attivare la clausola di salvaguardia» di cui ha parlato nell’intervista di ieri al Corriere. Il sistema che dovrebbe sostituire il Porcellum è, in queste ore, oggetto di una dialettica tra Pd e Pdl. Il partito del premier Letta vorrebbe fare qualcosa di più di un semplice ritocco, vorrebbe cioè che si tornasse alla precedente legge, al cosiddetto Mattarellum (un maggioritario corretto con una quota proporzionale) sia pure con qualche lieve modifica. Lo sostiene apertamente Anna Finocchiaro. Ipotesi, questa, che piace anche al leghista Roberto Calderoli che ha presentato un progetto per abrogare la legge da lui stesso inventata per sostituirla proprio con il Mattarellum. Dal Pdl, però, si continua a insistere sulla necessità  di varare prima le riforme costituzionali e solo dopo il nuovo sistema elettorale. Intanto il Pd ha depositato alla Camera una proposta sulla ineleggibilità  per evitare che chi ha la maggioranza in Parlamento possa impedire che un proprio eletto decada dal seggio per cause di incompatibilità  o ineleggibilità . Ad avere l’ultima parola, ad emettere il giudizio definitivo, secondo questo progetto, non saranno più le Camere ma la Corte costituzionale.


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