Ribelli, il piano «C’eravamo tanto amati»

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ROMA — Chi ci crede, nega il calo. O si dice «entusiasta» dei risultati o fa ragionamenti non lontani da formule democristiane tipo: «Abbiamo tenuto». Oppure, ancora, cerca rimedi: andare di più in televisione (da venerdì gruppi di dieci parlamentari andranno a Milano a «corsi di comunicazione televisiva»); o stare di più sul territorio, magari tornando a quella «settimana corta» tanto cara ai parlamentari di ogni tempo e di ogni partito (ma in questo caso per lavorare, non per oziare). Ma c’è anche chi ci crede sempre meno. E quelli preparano una via d’uscita, rumorosa. «Siamo in dieci, pronti ad andarcene», dice un parlamentare. Questione di tempo. Ma anche di dialettica interna. Se non si trova una composizione, se non si allenta la stretta del duo Grillo e Casaleggio, un drappello di 5 Stelle è pronta a formare un gruppo separato. Fervono le trattative con il Pd. Al Senato lo snodo decisivo è la nomina del nuovo capogruppo. Il diktat di Vito Crimi, che nega ai suoi il diritto di parlare di «strategie politiche e alleanze», fa il paio con la sua volontà  di far cadere «le mele marce». E il successore di Crimi, da scegliere entro il 15 giugno, può confermare la linea dura o ammorbidirla. Nel primo caso, un piccolo gruppo di senatori è pronto all’addio. Operazione «C’eravamo tanto amati», la chiama uno di loro.
La delusione la puoi osservare nei volti tesi in Transatlantico. L’onda lunga subisce per la prima volta un riflusso. Il Movimento si trova in questa temperie, con una base che scalpita, ironizza o si infuria. E i «cittadini» che minimizzano o sbottano di nascosto. Su twitter questa è la battuta più gettonata: «Lodevole iniziativa del #m5s, che si dimezza i voti del 50%». C’è chi attacca Casaleggio e chi è impietoso con Grillo: «Hai buttato 9 milioni di voti relegando questo branco di 163 incapaci all’opposizione». E chi chiede: «Avete finito di contare gli scontrini?».
Si cerca una via d’uscita. E necessariamente le soluzioni frantumano certezze poco flessibili rispetto alla realtà : il dogma del «tutti in Parlamento sempre» viene messo in discussione, tra gli altri, da Serenella Fucksia e Bartolomeo Pepe. Un senatore la chiama «settimana corta»: «Se siamo andati male è perché ci siamo dimenticati del territorio. Perdiamo troppo tempo a Roma in assemblee inutili. Il lunedì e il venerdì è meglio stare a casa, con i nostri elettori». Parole che stridono un po’ con quelle di Carla Ruocco, pasionaria in bianco. Che se la prende, giustamente, con i troppi assenti: la diaria è legata al voto e non alla presenza. Ma la settimana corta è già  realtà  per molti 5 Stelle. Soltanto che non basta. Il campano Salvatore Micillo non si capacita dei risultati: «Sono preoccupato. Certo, è comunque un inizio. Ma in molti posti siamo andati male e non ho capito perché. A Portici, per esempio, c’erano tutte le condizioni per arrivare al ballottaggio. E invece niente».
Colpa degli elettori, urla Grillo. Vero, dice Tatiana Basilio, che nota «un’involuzione dell’umanità » ma non demorde: «Bisogna proseguire nel cammino degli illuminati, nella ricerca della verità ». Si sentono più al buio Tommaso Currò e Vega Colonnese. Che rilancia articoli critici di Travaglio e Gomez. Walter Rizzetto, uno di quei deputati che non soffre sudditanza verso il fondatore, non ci sta: «Non sono d’accordo con Grillo, non è colpa degli elettori. Dobbiamo riflettere. L’astensionismo è un dato sconfortante». Matteo Incerti, Comunicazione del Senato, elenca i ballottaggi dei 5 Stelle: «Pomezia (Roma), Martellago (Venezia) e Assemini (Cagliari)». Bastano? No di certo. E allora si prepara lo sbarco in tv, con cautela. Rocco Casalino: «Abbiamo appena detto no a Lerner, Santoro e Floris». Cosa resta? «Le ricette di Benedetta Parodi no — scherza —. Vedrete».


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