by Sergio Segio | 20 Maggio 2013 7:43
TORINO — È tempo di autocoscienza per il Pd: dal Salone del Libro di Torino, con Matteo Renzi e Walter Veltroni (in saloni e orari diversi) al programma di Lucia Annunziata (di nuovo con Renzi) e da Fabio Fazio (ancora con Veltroni). Per rispondere a una domanda esplicita: dove vanno i democratici? E un’altra implicita: c’è vita in Parlamento dopo il Movimento 5 Stelle? Comincia Renzi, alle 10 e 30, intrattenendo dal palco un pubblico di 1.300 lettori, o presunti tali, che forse non compreranno tutti il suo libro Oltre la rottamazione. Nessun giorno è sbagliato per provare a cambiare (Mondadori) ma ridono e applaudono alle battute che sforna in risposta alle domande di Mario Calabresi, direttore de La Stampa. Sui suoi chiacchierati giubbetti («Sì, ne ho due. Ne avrete due anche voi, no?»), su quell’idea di smantellare una generazione obsoleta come un modello di automobili e su Epifani: «Il traghettatore? Mi fa pensare a Caronte». Ma soprattutto, sul segretario del Pd, si augura che «non parli di lavoro come un segretario della Cgil» e che il suo partito non viva «di manifestazioni fatte da altri. Non andiamo dietro ai sindacati». «Se ho fatto bene a usare il termine rottamazione? Avessi usato un’altra espressione, tipo: auspico un necessario ricambio generazionale che sovrapponga funzioni diverse, nessun giornale mi avrebbe filato. Certo, alla casa per anziani di Firenze mi sono sentito dire: ma rottama tua sorella! Ora non lo userei più, abbiamo fatto paura. Preferirei evocare piuttosto l’idea di condivisione».
Riscuote consensi, ma non sorprende, quando individua nell’«essersi fermati a un chilometro dal traguardo» l’infelice conclusione della campagna elettorale del suo partito. E di Pier Luigi Bersani: «Tanto gliel’ho già detto in faccia. Avere consentito a Berlusconi di recuperare un ruolo in questa campagna elettorale è stato l’errore più grave della sinistra».
Non avrà reazioni a stretto giro di Twitter o di posta, il sindaco di Firenze, dall’attuale segretario del suo partito, ma dà tempo 24 ore a Beppe Grillo per replicare al suo anatema sulla squadra dei grillini: «Si spaccheranno. Trovo ridicolo che chi ha votato il Movimento 5 Stelle, pensando potesse cambiare le cose, si ritrovi ora con dei parlamentari che discutono di diarie, scontrini e rimborsi. Hanno posizioni ideologiche rigide e ortodosse quando si tratta di seguire il leader su questioni istituzionali, ma si dividono sui soldi».
Spiega, Renzi, come è bello «andare alla conquista dei voti degli altri: Non prendendo i voti dei delusi del centrodestra, va a finire che si devono prendere i ministri del centrodestra». Cita Kennedy (due volte), Obama, e la birmana Aung San Suu Kyi, Nobel per la pace e promotrice della gentilezza in politica: «Ecco, mi piacerebbe restituire agli italiani una sorta di bipolarismo gentile in alternativa ai vaffa di Grillo».
Parla di leader in pectore, più che da sindaco, Matteo Renzi. E Walter Veltroni, che poche ore dopo presenta con Massimo Gramellini il suo libro «E se noi domani» (Rizzoli), gli spiana la strada: «Oggi sicuramente è la persona con maggiori caratteristiche per la premiership». Anche se da Fazio chiederà di finirla con l’infinito gioco dei nomi. Da Lucia Annunziata, Renzi ringrazia, ma si schermisce: «Non è ancora il momento, non siamo in campagna elettorale». E del resto — riflette subito dopo — «il governo può durare fino al 2016, un anno in più rispetto al “limite” dei 18 mesi».
Grillo tarda a manifestarsi, ma Maroni già cinguetta sulla rottamazione: «Renzi ci ripensa: patetico ora che è stato rottamato lui e la sua politica da fighetti». Per la gentilezza in politica c’è ancora da aspettare.
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