Razzi su Hezbollah La crisi siriana infiamma il Libano

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BEIRUT — Hassan Hussein non può permettersi i fuoristrada venduti nell’esposizione a un chilometro da casa sua. Neppure adesso che le jeep scure stanno spiaggiate sull’asfalto del parcheggio, sforacchiate dall’esplosione come il cemento non intonacato dell’appartamento di Hassan.
I due razzi sono caduti al mattino presto, hanno colpito una zona a sud di Beirut, quartieri abitati dagli sciiti. Il messaggio è per loro e per il loro leader Hassan Nasrallah: la guerra che Hezbollah sta combattendo in Siria rimbalza in Libano.
Per ora l’azione non è stata rivendicata, gli ufficiali dell’esercito spiegano di aver trovato i lanciarazzi in un bosco, non sono neppure sicuri siano quelli usati per l’attacco. Che arriva poche ore dopo il discorso di Nasrallah: il capo del movimento filoiraniano ha trasformato le celebrazioni per l’anniversario del ritiro israeliano dal sud del Libano (tredici anni fa) in un proclama per giustificare l’intervento contro i ribelli siriani. «Il regime di Bashar Assad è la spina dorsale della nostra resistenza e resteremo al suo fianco fino alla vittoria».
Da una settimana le truppe di Hezbollah guidano l’offensiva per riconquistare l’area di Qusayr e i sentieri che permettono ai combattenti anti-regime di ricevere armi e aiuti dal Libano. Fonti dell’organizzazione spiegano di aver ripreso l’80 per cento della zona, sabato negli scontri sarebbero caduti 22 miliziani. Il clan Assad vuole anche ritagliare un corridoio sicuro che unisca Damasco con le città  sulla costa del Mediterraneo dove gli alauiti (minoranza nel Paese) sono la maggioranza.
Nel discorso trasmesso via video Nasrallah paragona il conflitto a quello con Israele nel 2006, solo che questa volta combatte altri musulmani: «È una fase completamente nuova per la nostra organizzazione». Accusa i gruppi estremisti sunniti che appoggiano i ribelli di voler portare il conflitto in Libano, li chiama takfiri — i musulmani che accusano altri musulmani di apostasia, considerano gli sciiti infedeli — e avverte: «Se non andiamo là  a fermarli, verranno da noi. Chi sostiene l’opposizione combatta in Siria, chi sostiene il regime combatta in Siria. Lasciamo Tripoli fuori dagli scontri».
Sembra troppo tardi. In una settimana i morti nella città  a nord del Libano sono già  trenta. Alauiti contro sunniti come dall’altra parte del confine. Saad Hariri, capo della coalizione 14 marzo e rivale di Hezbollah, dichiara la fine dell’«unità  nazionale»: «Non può più usare la Palestina come scusa, Nasrallah sta portando la resistenza al suicidio militare e politico».
Con l’offensiva di queste settimane il regime di Damasco si prepara alla conferenza di Ginevra dove — annuncia Walid Muallem, ministro degli Esteri — è disposto a partecipare. «Siamo convinti che questo vertice sia una buona opportunità  per trovare una soluzione alla crisi in Siria». Quella che Muallem chiama crisi ha causato quasi novantamila morti in due anni. L’opposizione è riunita a Istanbul per decidere la strategia, chiede «gesti di buona volontà » da parte di Assad prima di confermare il sì al summit che dovrebbe tenersi in giugno. Il presidente siriano pensa di poter negoziare un accordo che lo garantisca: il sostegno dei russi, dei cinesi e degli iraniani gli ha permesso per ora di sopravvivere alla rivolta iniziata nel marzo del 2011.
Davide Frattini


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