Quel veleno nelle leggi retroattive

by Sergio Segio | 8 Maggio 2013 6:20

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Una tassa in meno, nel Paese che condanna i propri cittadini a 694 adempimenti fiscali l’anno. A causa dell’Imu, potremmo tuttavia trovarci anche con un governo in meno. Il Pdl — per bocca di Brunetta — l’ha detto chiaro e tondo: o in aggiunta si restituisce l’Imu versata nel 2012, oppure salta il banco.
Dal suo punto di vista, avrà  pure ragione. Pacta sunt servanda, e la restituzione del balzello costituisce un patto siglato dal Pdl con i propri elettori. Ma c’è un patto più ampio, più solenne, rispetto alle promesse dei partiti. È il patto che ci lega gli uni agli altri, e che ci unisce in uno Stato. Si nutre di fiducia, di certezza sui diritti e sui doveri, d’impegni presi e mantenuti. Non per nulla «legale» contiene in sé «leale».
Difatti la lealtà  risuona sia nella Costituzione (articolo 120) che nella giurisprudenza costituzionale (583 ricorrenze). Ma è leale uno Stato che non sa nemmeno cosa vuole? Che prima t’obbliga a pagare pegno, poi ti restituisce il pegno, e magari l’indomani ti saluta con un pugno? Non che ogni legge sia scolpita sulla pietra. Può sempre essere abrogata, emendata, rimpiazzata. Per il futuro, tuttavia, non per il passato. Altrimenti sarebbe come chiedere alla legge di restituirci la nostra giovinezza, o l’amico di cui piangiamo la scomparsa. Invece le leggi italiane sfidano la legge del tempo. Le illumina l’idea di riscrivere il passato, e a sua volta quest’idea riflette il sentimento d’onnipotenza dei partiti. Nel 2011, per dirne una, il Pd propose una tassa aggiuntiva del 15% per chi nel 2009 s’era avvalso dello scudo fiscale, sapendo di pagare il 5% sui capitali all’estero. Ma in generale non si contano le leggi retroattive, che dispongono oggi per ieri. Di solito vengono infiocchettate come leggi d’interpretazione «autentica», per mascherarne la retroattività  attraverso un’ipocrisia verbale. Ne vennero approvate 6, nei primi quarant’anni del Regno d’Italia; se ne incontrano 150 statali e 280 regionali, nei primi quarant’anni della Repubblica italiana. Vero: a caval donato non si guarda in bocca. Se lo Stato ci rimborserà  i quattrini dell’Imu, sorrideremo a 32 denti. Ma sarà  un dono avvelenato, ed è bene saperlo fin da adesso. Perché in cambio otterremo meno Stato, meno fiducia nello Stato.
La restituzione della tassa suonerà  come un’ammissione di colpa, il pentimento dopo una rapina; più o meno come il risarcimento dovuto alle vittime per la riparazione degli errori giudiziari o per le condizioni disumane delle carceri. E poi, come la mettiamo con chi l’anno scorso si è sottratto al pagamento? Assurdo perseguirlo, se il pagamento non è più dovuto; ma allora la restituzione si trasforma in un condono, tanto per cambiare. Da qui tre conclusioni. Primo: sarebbe più giusto, più sensato, aggiornare i valori catastali, come promesso dal governo Monti; e semmai restituire l’eccedenza a chi ha pagato troppo. Secondo: la posta dell’Imu può comunque venire utilizzata in soccorso degli italiani; ad esempio eliminando il bollo sulle auto di piccola cilindrata, perché no? Terzo: smettiamola di vivere in una nuvola di recriminazioni e di rimpianti. Guardiamo avanti, anziché all’indietro. Altrimenti dovremo farci curare il torcicollo.

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