by Sergio Segio | 14 Maggio 2013 7:30
Di metafora in metafora, dal passo in avanti Letta è passato ai due binari, ovviamente «paralleli». Anche perché, come si vede, il passo non è uno ma sono due. Anzi quattro. E non in avanti: sul posto. Si muovono solo i conti alla rovescia. Quello partito ieri dice «100 giorni». Significa che le riforme dovranno essere avviate entro l’estate, oppure niente. Ragione per cui si può scommettere ancora una volta sul nulla di fatto. E poi magari tirare un sospiro di sollievo.
Sì perché il governo non ha rinunciato all’intenzione di aprire una fase costituente. Solo che propone di farlo con una tecnica assai singolare. Seguendo un vecchio pallino del ministro per le riforme Quagliariello si copia la commissione Balladur, che nel 2007 – in cento giorni – gettò le basi per l’ultima riforma costituzionale in Francia; ma adattandolo alla realtà italiana della larga coalizione si punta a cambiare la procedura di revisione costituzionale per concentrare in una sola stanza, chiamata Convenzione, i deputati e senatori che dovranno scrivere la nuova costituzione. La soluzione accontenta, almeno per qualche giorno, le anime della maggioranza. Ma da subito moltiplica le stranezze e gli elementi di pericolo.
Tra le ragioni ispiratrici di quest’ansia riformatrice non c’è infatti nemmeno l’ombra delle intenzioni che mossero la commissione Baladur. Che puntava a rafforzare il parlamento nei confronti dell’esecutivo e semmai a introdurre nuove forme di responsabilità del governo, oltre a favorire il ricorso diretto dei cittadini alla tutela dei loro diritti costituzionali. Tant’è che delle 77 proposte della commissione francese (modificate dal governo) molte non prevedevano revisioni costituzionali ma solo modifiche dei regolamenti. Quello che si potrebbe utilmente e più semplicemente fare anche da noi. Ma in Italia le intenzioni sono opposte, si vuole aumentare il potere dell’esecutivo e diminuire quello del parlamento. Volendo, paradossalmente, «fare come in Francia».
Nella composizione di questa commissione di saggi, che si immagina presieduta formalmente da Letta e sostanzialmente da Quagliariello (eccolo il designato da Berlusconi), il governo intende coinvolgere costituzionalisti di diverso orientamento. Presidenzialisti come parlamentaristi, chissà secondo quale proporzione. Con Balladur erano 13, con Quagliariello (che nel 2008 invocava a gran voce «un Balladur italiano», non immaginando di avercelo in petto) saranno forse qualcuno in più. Fatto il loro lavoro e trovate chissà come le loro mediazioni, i professori consegneranno il risultato ai presidenti del senato e della camera. Ma il buffo è che non dovrebbe essere il parlamento a dare seguito a quelle proposte, bensì la Convenzione che nel frattempo una legge costituzionale che conosceremo tra poco («giorni, al massimo settimane», ha detto Letta) dovrà provvedere a far nascere. Una legge costituzionale, però, ha bisogno di molto più che cento giorni (90 è l’intervallo minimo tra la prima e la seconda doppia lettura): i conti alla rovescia non sono sincronizzati. Nella Convenzione siederanno deputati e senatori delle commissioni affari costituzionali (tranquilli, Berlusconi ci sarà ), la ragione che spinge a metterli assieme è chiara: si vuole evitare che una camera corregga il lavoro dell’altra, allungando i tempi. Fatti due conti, il centrosinistra avrebbe la maggioranza certa in questa Convenzione, 34 componenti su 72 al netto delle alleanze possibili con 5 stelle e centristi.
Infine la legge elettorale. Il Pdl non vuole cambiarla, Letta cerca un via libera almeno a piccole modifiche. Non tanto per tornare al Mattarellum – che non si adatta al tripolarismo e richiede un lavoro in più sui collegi, come spiega il deputato lettiano Francesco Sanna – quanto per eliminare gli aspetti più mostruosi del Porcellum. Come il premio di maggioranza senza soglia, che però è proprio quello che tornerà più utile a Berlusconi. Quando il passo, verso le urne, deciderà di farlo lui.
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