Quando la colpa è sempre di qualcun altro

by Sergio Segio | 29 Maggio 2013 6:58

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La colpa è sempre degli altri. L’insuccesso alle amministrative del Movimento 5 Stelle non è colpa di quei dilettanti allo sbaraglio che siedono in Parlamento, non è colpa della totale inadeguatezza dei Crimi e delle Lombardi, non è colpa di una politica che si è interessata soprattutto ai rimborsi spesa fallendo alcune clamorose occasioni, la colpa non è dell’equivoco di fondo su cui vive il Movimento stesso, quasi fosse il frutto di una cattiva lettura dei classici dell’anti-utopia (Orwell, Zamjà tin, Huxley, Burgess…), carica di angosce, ripulse, umorismo sarcastico e violento. No, la colpa è degli italiani: «Non si tratta di italiani che hanno sbagliato per consuetudine o per dabbenaggine, ma di persone pienamente responsabili della loro scelta».
Il registro comico-grottesco di Beppe Grillo tenta l’ultima, disperata autoassoluzione: «Capisco chi ha mantenuto la barra dritta e premiato i partiti che succhiano i finanziamenti pubblici e non chi li ha restituiti allo Stato. Vi capisco. Il vostro voto è stato pesato, meditato».
Quale la colpa dei cittadini? Di essersi disamorati troppo in fretta del sogno di Grillo che consisteva nel mettere al muro i tradizionali partiti politici (un mondo di zombie e vampiri) e, con essi quella faticosa pratica occidentale che si chiama democrazia, nel proclamare il mito della trasparenza via Web, nel disprezzare ogni classe dirigente sostituibile da una sorta di lotteria internettiana (“uno vale uno”). Il guru aveva indicato la Nuova Babilonia, ma i cittadini sono stati ciechi, irriconoscenti e ingrati.
Tuttavia qualcosa sta scricchiolando nell’impalcatura del Movimento. Se alle elezioni politiche le sue strategie di comunicazione erano parse innovative (non apparire in tv ma fare in modo che la tv si occupasse abbondantemente del fenomeno, idolatrare la Rete), adesso gli errori di comunicazione non si contano: gli insulti ai critici (Milena Gabanelli e Pierluigi Battista su tutti), le black list dei giornalisti inaffidabili, le squadre di sorveglianza in Transatlantico, le continue sconfessioni. Forse la Rete non basta più per fare politica, forse bisogna ritornare all’odiato mezzo per parlare a tutti, forse i criteri di selezione dei candidati sono troppo superficiali.
Il riscatto morale a colpi di “vaffa” si è dimostrato fragile, la tecnica “corporea” dei calci in culo all’avversario inefficace: al tribuno Beppe Grillo che prometteva di aprire le Camere come scatole di tonno un pò di cenere sul capo farebbe bene. Ma nessuno dei suoi sa come porgergliela.

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