Prodi: sì ai fondi alle scuole paritarie

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BOLOGNA — Come ai bei tempi. Passione sanguigna e cazzotti verbali.
Sotto i portici delle Due Torri tornano atmosfere da laboratorio politico (con qualche tendenza vagamente rissaiola). E poco importa se molti avrebbero fatto volentieri a meno di questo referendum consultivo (si vota domenica) che, nelle intenzioni dei promotori di «Articolo 33», punta ad abolire i finanziamenti comunali (un milione l’anno) alle scuole d’infanzia private (quasi tutte cattoliche), sostenendo che in tempi di vacche magre il pubblico non può fare regali, perfettamente consapevoli di piazzare così una vera e propria bomba sotto quel sistema convenzionato che a Bologna nacque una ventina di anni fa per poi essere esportato in mezza Italia (a cominciare dalla Parma di Grillo e dalla Puglia di Vendola: solo per citare due tra coloro che ora vorrebbero abolire i fondi). «Guerra di religione, ideologizzata e strumentale» grida il composito fronte schierato per il mantenimento dei contributi: Pd, Pdl, Udc, Cisl, Cei (cardinale Bagnasco in testa). «No, solo rispetto della Costituzione, là  dove esclude qualsiasi onere per lo Stato» ribattono i referendari: Sel, 5 Stelle, associazionismo e intellettuali (Andrea Camilleri, Margherita Hack, Sabina Guzzanti).
L’un contro l’altro armati, i due eserciti. In mezzo, un centrosinistra spaccato. E un Pd (a cominciare dalla giunta Merola) sotto assedio. Una partita che schiera pezzi da novanta. A partire da due personalità  che, guarda caso, si sono fronteggiate di recente nella suicida (per il Pd) corsa verso il Quirinale. Stefano Rodotà  guida sin dalle prime battute il fronte di chi vuole abolire i fondi. Romano Prodi, invece, è uscito allo scoperto solo ieri, schierandosi per il mantenimento dell’attuale modello. «Voterò l’opzione B (utilizzare le risorse finanziarie per le scuole paritarie private, ndr): perché bocciare un accordo che ha funzionato bene per tanti anni e che ha permesso, con un modesto impiego di mezzi, di ampliare almeno un po’ il numero dei bambini ammessi alla scuola d’infanzia?», si chiede l’ex premier. Che però aggiunge: «Sarebbe stato meglio evitare il referendum perché apre in modo improprio un dibattito che va oltre i ristretti limiti del quesito stesso. E mi chiedo anche perché argomenti che potrebbero essere risolti in serenità  debbano sempre finire in rissa».
Alla carta Prodi, i referendari hanno subito opposto quella del cantautore Francesco Guccini, sostenitore «con il cuore» delle ragioni di chi vuole abolire i contributi comunali: «Non posso non fare mia la lezione di Piero Calamandrei — scrive —, contenuta nel celebre discorso “In difesa della scuola nazionale”». Al suo fianco, il segretario di Prc, Paolo Ferrero: «Prodi si sbaglia di grosso! Non a caso, questa regalia di denaro pubblico ai privati è cominciata con l’Ulivo». Sceglie invece la linea del silenzio, dopo un duro scontro con Vendola, il sindaco Merola. Non prima però di lanciare le ultime frecciate dalle colonne del supplemento di Avvenire: «Anche se vincessero i referendari, il sistema integrato è nel mio programma e lo porterò avanti. La verità  è che si usa questa consultazione come grimaldello per fare male al Pd». E Francesca Puglisi, capogruppo pd in commissione Istruzione del Senato, ammonisce: «Abolire le convenzioni aggraverebbe il problema con il rischio che venga messa in discussione la gratuità  delle materne».


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