by Sergio Segio | 6 Maggio 2013 7:42
PRATO — Circolo Pd San Paolo, quartiere popolare di Prato, una delle prime città dove è scoppiata la rivolta di Occupy Pd. Comincia da qui il giro d’Italia di Fabrizio Barca, che per i prossimi sei mesi s’impegna a dedicare ogni fine settimana alla presentazione del suo documento sul futuro della sinistra. «Voglio ascoltare il cuore del partito, solo così si possono cambiare le cose. Ci sono talenti nascosti nel Pd che a Roma non riescono a farsi sentire, io intendo scoprirli e valorizzarli», annuncia spiegando il suo programma.
Sala sottodimensionata, a decine sono costretti a restare in piedi, giovani e pensionati, tantissime donne, nuove e antiche correnti terremotate con la stessa violenza, militanti disorientati, in cerca di punti di riferimento. Il manifesto di Barca almeno è una concretezza. In ultima fila è seduto Vittorio Mangani, iscritto al Pci nel ‘66: «Io conoscevo bene il babbo, Luciano Barca. Nel ‘71 ero infermiere e l’azienda sanitaria di Prato organizzò una crociera da Genova a Tunisi, per i dipendenti. Con noi c’era Barca, da dirigente del Pci ci accompagnava per discutere di politica nel viaggio».
L’ex ministro arriva con un’ora di ritardo, al tavolo della briscola un anziano canticchia fin che la barca va, le signore piazzano l’ombrello sulle sedie, finalmente si comincia. Il primo a farsi avanti è Gabriele Bosi, segretario di uno dei circoli più importanti, quello del centro storico, 120 iscritti. Ci va giù duro: «Abbiamo ceduto, in Parlamento persino i 5Stelle ci hanno messi in soggezione, c’è bisogno di rifondare i Democratici, così non funziona», dice rivolto a Barca. In molti parlano dei franchi tiratori: «Chiamiamoli come meritano, sono dei vigliacchi traditori, gente che ha perso ogni rigore morale». Qui nessuno ha capito cosa sia veramente successo nell’ultimo mese. «Abbiamo più correnti noi che l’Enel», attacca Lucio La Manna del circolo Primo maggio.
Barca ascolta in silenzio e prende appunti. E’ un copione vecchio stile, non ci sono i video e gli intermezzi musicali del Big Bang e nemmeno il gong che contingenta i tempi. Novanta minuti di sfogo collettivo prima che l’ospite d’onore prenda in mano il microfono. «Ho scritto questo documento per smontarlo e ricostruirlo insieme a voi», assicura. «Facendo il ministro ho avvertito la solitudine drammatica delle classi dirigenti a Roma e sul territorio e ho sentito l’assenza del partito che abbandona i sindaci ai loro problemi. I partiti sono diventati ormai Statocentrici, macchine per produrre eletti che attraverso il finanziamento pubblico governano il Paese». Non tutti hanno letto l’intero documento ma sanno che ha usato quella strana parola, il catoblepismo, una metafora del partito che mangia se stesso fino a sparire. «E’ impossibile realizzare un sistema di governo che funzioni senza partiti ben strutturati. Un partito è il luogo in cui si incontrano le voci e si trovano le mediazioni. E’ questo processo di dialogo che conta, la rete dei circoli è più forte di quella del web. La politica non è lavoro ma passione e il segretario deve essere
una figura diversa dal candidato premier. Si può fare. Yes we can», dice strappando un’ovazione. E Renzi? «Tra me e Matteo c’è complementarità , nessun asse». Lo vedrà ? «E’ inevitabile che in sede toscana o romana prima o poi ci si debba incontrare».
Discutere è già un segno di vitalità . Simone Barni, 35 anni, consigliere provinciale, cerca di pensare positivo: «In mezzo a tante macerie sembra rinata la voglia di
dibattito». Filippo De Rienzo, renziano, confessa: «Che fatica far partire il tesseramento, la gente è troppo arrabbiata». Manlio Altimati, iscritto semplice, saluta Barca con una stretta di mano. «Fabrizio, quando la gente mi domanda “ma voi del Pd chi siete?” vorrei sapere cosa rispondere». Prossima tappa, oggi a Firenze. Poi in Calabria. Il tour è appena iniziato.
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