Nell’abbazia tra pioggia e silenzi il clima teso dello «spogliatoio»

by Sergio Segio | 13 Maggio 2013 7:03

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SARTEANO — Piove da un’ora, c’è un vento gelido che risale dalla Val d’Orcia, gli alti cipressi che circondano l’abbazia di Spineto, sinistramente, ondeggiano.
Il van rallenta sulla stradina sterrata. Si ferma. I vetri sono oscurati come su tutti i mezzi in dotazione a Palazzo Chigi. Ragionevolmente, a bordo dovrebbe esserci il presidente del Consiglio, Enrico Letta. Nel pulmino che è fermo dietro, a pochi metri, s’intravedono le ombre immobili di alcuni ministri. Gli altri, quelli che non sono partiti da Roma, aspettano da un pò nel salone delle ex scuderie.
Gli agenti in borghese sono incerti sul da farsi. Non si capisce chi debba aprire il portellone del van. Sono secondi abbastanza lunghi e ciò che colpisce è il silenzio, improvviso. Non un fiato dai fotografi e dai cameraman, che pure fino a poco fa sbraitavano zuppi contro il governo, colpevole di non aver previsto qualche ombrello. Muti gli addetti stampa, gli inservienti.
Ora provate a immaginarvi questa scena.
Il portellone si apre di colpo e, in sequenza cinematografica, ecco lo sguardo del vicepremier Angelino Alfano che compare nella penombra, ancora seduto, spalle al conducente. Alfano appartiene a quella categoria di politici incapace di fingere allegria. Probabilmente, stavolta neppure ci prova. È livido. Accigliato.
Dietro Alfano, appare Maurizio Lupi. Che ha quasi fretta di scendere. E nella fretta, infatti, finisce con una scarpa diritto dentro una pozzanghera. Non ci bada, ignora le telecamere, s’avvia a passo svelto verso l’ingresso dell’abbazia.
È a questo punto che spunta Enrico Letta.
Letta, al contrario di Alfano, un sorrisetto di circostanza tenta di abbozzarlo, accenna un saluto con la mano, ma è chiaro che anche lui ha il volto teso, segnato.
Sono usciti tutti? No.
Ecco Dario Franceschini. A lui, manca solo il fumo dal naso.
Ci vuole poco a intuire che quella ideata da Enrico Letta doveva essere una gita un bel po’ diversa: viaggiare tutti insieme, e poi cenare insieme per fare gruppo, fare spogliatoio. Serenità , complicità , ottimismo. Invece, la manifestazione che Berlusconi e il Pdl hanno tenuto a Brescia, e le polemiche che sono seguite, stravolgono ogni programma. Dentro quel van c’è stato un confronto serrato che, alla fine, si è concluso con qualcosa di molto simile a un patto. E poiché per siglarlo c’è stato bisogno di tempo, il van è persino stato costretto a rallentare. I ministri che viaggiavano dietro, sul pulmino, devono aver intuito qualcosa. La Cancellieri, con aria di circostanza, risale il vialetto sottobraccio a uno della scorta. I suoi colleghi sfilano uno dietro l’altro, continua a piovere, c’è fango, bisogna stare attenti a non scivolare.
Dentro, Fabrizio Saccomanni sta leggendo alcune carte. Proveniente dal G7 da Londra, è venuto direttamente. «Non parleremo solo di Imu, ma di tutto». Il ministro della Cultura, Massimo Bray era ospite di amici, qui vicino, e si è perciò presentato con la sua Panda rossa. Nunzia De Girolamo, in auto blu. Era a Benevento, dalla figlia. «Io sono prima mamma, e poi ministro. Quanto alla manifestazione del Pdl a Brescia… Quelli del Pd fanno le assemblee nelle stanze, e noi invece riempiamo le piazze. C’è qualche problema?».
Più di uno. Letta e Alfano fanno saltare la conferenza stampa e mandano i rispettivi portavoce a leggere un comunicato. Il cui contenuto viene, quasi contemporaneamente, spiegato ai ministri. Letta non usa giri di parole. «Quindi abbiamo deciso che nessun componente del governo andrà  più a trasmissioni televisive o a iniziative politiche che non riguardino l’attività  dell’esecutivo». Non sono previsti commenti. Si prosegue come da programma: ciascun ministro ha dieci minuti per illustrare il proprio piano di lavoro. Dalle finestre, i lampi dei fulmini.
Non è una seratona (ciascun ministro pagherà  comunque di tasca propria, per vitto e alloggio, la somma di 200 euro). La cena è pure in piedi. C’è la stanza dei prosciutti, quella dei formaggi e della pappa al pomodoro. Il comune di Montalcino ha spedito una cassa di bottiglie strepitose. Ma, davvero, c’è poco da brindare (in sala stampa, tra l’altro, i portavoce di Letta e Alfano stanno bisticciando).
Fabrizio Roncone

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