Mini Watergate: spiati i giornalisti della Ap

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NEW YORK — «È il Watergate di Obama», accusa dalle colonne del Washington Post il columnist conservatore George Will. E diversi parlamentari repubblicani gli fanno subito eco. Esagerano, ma adesso il presidente americano è veramente in difficoltà . Già  ai ferri corti col Congresso che lo tiene sotto pressione per la manipolazione delle indagini sull’uccisione dell’ambasciatore Stevens a Bengasi e per il modo in cui l’Irs, il Fisco Usa, ha preso di mira le organizzazioni della destra radicale come i Tea party, adesso Obama deve gestire un altro caso scottante: quello dell’intercettazione, fatta in segreto e per due mesi, di ben 20 telefoni dei giornalisti dell’agenzia di stampa Associated press, la fonte d’informazioni più credibile e rispettata d’America.
La reazione furibonda di giornalisti e manager dell’Ap è stata condivisa dai colleghi delle altre testate — giornali e tv — che ieri hanno letteralmente messo sotto assedio il portavoce di Obama, Jay Carney, durante il quotidiano briefing nella sala stampa Casa Bianca. E l’amministratore delegato dell’Ap, Gary Pruitt, in una durissima lettera di protesta ha affermato che «non esiste una giustificazione possibile per un atto che mette potenzialmente in pericolo tutte le comunicazioni confidenziali» che sono il cuore della raccolta di notizie fatta da un’agenzia di stampa.
Il ministro della Giustizia Eric Holder ha convocato la stampa e ha provato a difendersi spiegando di essersi chiamato fuori dall’indagine avviata l’anno scorso dal suo dipartimento per evitare conflitti d’interesse, visto che ha rapporti con la stampa e con la stessa Ap. E che l’Fbi lo aveva già  interrogato sulla dinamica della vicenda.
Holder ha poi avvertito che il caso sul quale il governo ha deciso di andare a fondo è molto grosso: «La fuga di notizie più grave per la sicurezza nazionale, quella che più ha messo in pericolo cittadini americani di cui io sia mai stato a conoscenza» ha scandito il ministro di Obama davanti a chi gli contestava un’intrusione senza precedenti nel campo della libertà  di stampa.
Nessuno ha fornito dettagli sul caso in modo ufficiale, ma l’indagine riguarda un articolo su un attacco di Al Quaeda in Yemen sventato dalla Cia più di un anno fa. I terroristi avevano cercato di mettere una bomba su un aereo diretto negli Usa nel giorno del primo anniversario della morte di Osama bin Laden. L’articolo è stato pubblicato dall‘Associated press il 7 maggio 2012 dopo alcuni rinvii decisi dall’agenzia proprio su pressione della Casa Bianca, che temeva di vedere le indagini compromesse dalla pubblicazione di queste indiscrezioni.
Non ci siamo mossi alla leggera, ha detto Holder: la decisione di mantenere segreto il «subpoena», la citazione in giudizio dell’Ap è irrituale ma è legale e dipende dalla gravità  del caso. La decisione è stata presa dal vice attorney general, Jim Cole. Come a dire: atto tecnico, non politico.
Ma Carl Bernstein, uno dei due autori dell’inchiesta che 40 anni fa portò alla scoperta del Watergate e alle dimissioni Richard Nixon, ha ugualmente caricato a testa bassa il governo Obama: «Una decisione inaccettabile, non ci sono scuse possibili. È una bomba nucleare sulla libertà  di stampa».
Alla Casa Bianca un provatissimo Carney ha spiegato che per Obama la tutela della libertà  di stampa è una priorità  assoluta, ha fatto capire di essere colpito anche personalmente dalla vicenda, visto che anche lui è un giornalista, ma ha invitato a riflettere sul fatto che il presidente è anche il garante supremo della sicurezza del Paese. Deve quindi trovare un punto di equilibrio tra le esigenze della stampa, la cui libertà  d’espressione non è mai stata compressa, e quelle di protezione delle indagini antiterrorismo da pericolose fughe di notizie.
Il portavoce non ha, però, convinto i giornalisti. Alcuni hanno obiettato che a stabilire quando un’informazione può essere pericolosa per la sicurezza nazionale non dovrebbe essere il capo del governo ma un’autorità  indipendente. Altrimenti domani un presidente potrebbe decidere sulla base di criteri politici cosa può essere pubblicato e cosa no.
Obama, che già  doveva fronteggiare un Congresso assai bellicoso, ora si ritrova davanti anche una stampa in rivolta. E proprio oggi Holder dovrà  comparire davanti al Parlamento per un’audizione prevista da tempo. Non sarà  il Watergate, ma per Obama si delineano mesi difficili anche perché il Congresso, con l’attività  legislativa semiparalizzata dai veti incrociati, si sfoga moltiplicando le audizioni: le indagini sui passi falsi del governo, dalla Libia a Obamacare, la riforma sanitaria del presidente, sono già  cinque.


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