Merkel fissa i paletti al primo incontro «Rigore e crescita procedono assieme»

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BERLINO — Letta chiede più crescita. La chiede all’Europa. Si rivolge alla cancelliera, a colei che di fatto è guardiana dei conti comunitari. La signora Merkel risponde che senza rigore non c’è crescita, senza bilancio in equilibrio non c’è sviluppo e nemmeno lavoro. Le due prospettive non confliggono, ma nemmeno collimano.
È uno schema già  visto, è stato anche lo schema del governo Monti. Letta si presenta, la leader tedesca parla ancora una volta di «compiti», dice «siete sulla buona strada», esercita in qualche modo una cattedra, quella di chi ha molti problemi in meno: «Lei non è in una situazione facile», ha dovuto assumere l’incarico «da un giorno all’altro, non avrà  avuto il tempo di prepararsi…».
Forse il traduttore della Cancelleria non coglie tutte le sfumature, non c’è offesa nel tono, semmai una sorta di solidale comprensione per il compito che attende il presidente del Consiglio: anche visto da Berlino appare complicato. Di certo è molto più ampio, nelle parole di Letta, di quello che il governo tedesco immagina.
Il presidente del Consiglio chiede alla Ue con urgenza quello che per i tedeschi può attendere: unione non solo bancaria, «ma anche politica, fiscale ed economica». La cancelliera nella sua risposta riprende solo il tema della vigilanza bancaria e poi il noto refrain, «crescita e finanze solide vanno insieme, non sono in contrapposizione, sono due facce della stessa medaglia».
Ovviamente la promessa è quella della piena collaborazione: «Tutte le decisioni importanti sono state sempre prese insieme con l’Italia, sono sicura che la collaborazione sarà  piena e proficua nonostante il periodo difficile della Ue, stiamo già  lavorando per recuperare competitività  e produttività  perdute», dice il capo del governo tedesco. E il principio vale anche per Letta, che a un certo punto sceglie di sdrammatizzare suscitando sorrisi: «Chiederò a lei una consulenza su come si guida una grande coalizione…».
Le cose da fare insieme sono tante. Per Letta si deve partire da una premessa, «in questi cinque anni non c’è stata abbastanza Europa» e la condizione per rilanciare crescita, lavoro e progetti comunitari «è una forte intesa fra Germania e Italia». In questo solco rammenta che i due Paesi sono storicamente convinti sostenitori di «un federalismo europeo» che implica reali cessioni di sovranità . E mentre lo sottolinea, in modo implicito invita Berlino a superare i dubbi degli ultimi anni verso progetti più concreti di integrazione.
Nella conferenza stampa congiunta c’è un tema che affiora solo in parte: in tema di budget l’Italia chiederà  più flessibilità  a Bruxelles? Letta non entra nel merito, ma assicura che l’Italia «come sempre, manterrà  i conti in ordine, l’impegno è continuare il risanamento, e faremo tutto quello che è necessario, non vogliamo un’Europa dei debiti, che consenta di indebitarsi a chi lo vuole, vogliamo lasciare lavoro ai nostri figli, non debiti».
È anche il linguaggio della cancelliera, ma in questa cornice vanno anche attuate, aggiunge il premier, le decisioni del pacchetto di crescita decise nel Consiglio europeo del giugno di un anno fa: che fine hanno fatto, sembra chiedere Letta? Perché occorre così tanto tempo per passare dalle decisioni alle azioni concrete?
Insomma, «vogliamo discutere ulteriori interventi che aiutino la crescita» della Ue: questo ragionamento, dice ancora Letta, «lo farò anche a Parigi, a Bruxelles e a Madrid; se l’Europa è la nostra rotta non deve essere fatta di solo risanamento, viceversa cresceranno fenomeni di populismo, com’è già  accaduto in Italia». La Merkel ascolta, accenna comprensione, ma appare aderire solo in parte all’allarme.
Alla fine viene chiesto al presidente del Consiglio dove intenda trovare le risorse per coprire il programma che ha annunciato in Parlamento e su cui ha ottenuto la fiducia, a cominciare dalla rivisitazione dell’Imu. Lo ha spiegato alla Merkel? Non esageriamo, risponde con orgoglio Letta: «Non devo spiegare a nessuno, né giustificare, le scelte di politica interna, sono fatti di casa nostra».
Marco Galluzzo


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