Mandela, lite sul patrimonio le figlie gli fanno causa

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   UN PADRE una volta potente ma adesso fragile e le figlie avide: una storia vista tante volte e sempre attuale. Una storia che ritorna e questa volta veste i panni di Nelson Mandela, delle figlie, Zenani e Makaziwe e dei pronipoti: tutti che si affannano per una fetta — cospicua — di fortuna. In nome di questo, del denaro, Zenani e Makaziwe Mandela hanno fatto causa al padre per ottenere il controllo sui suoi soldi.
Tutto comincia nel 2004. Raccontano gli amici che in una riunione di famiglia, che si suppone molto tempestosa, Mandela, oggi 94 anni e una salute malferma, abbia detto alle due figlie che «non voleva che venissero coinvolte negli affari della sua fondazione per l’infanzia». Il vecchio leader, premio Nobel per la Pace per la sua lotta contro l’apartheid, naturalmente aveva già  predisposto un lascito per loro, ma non voleva che le due avessero niente a che vedere con i due fondi di investimento dal valore di 1,7 milioni di dollari destinati alle attività  a favore dei bambini. Oggi le figlie, e con loro i pronipoti, non ci stanno.
Eppure sono ricche. Secondo le informazioni che il quotidiano sudafricano Beeld pubblicava dieci giorni fa, ci sono almeno 110 società  che fanno capo a qualcuno dei Mandela. Ci sono case e ville; miniere; abbigliamento; intrattenimento. Makaziwe Mandela è membro di 16 società , compresa la Nestlè; Zenani, oggi ambasciatore in Argentina, di nove compagnie minerarie.
Una trama degna dei migliori intrighi e arricchita da comprimari di peso: due avvocati a lungo vicini a Mandela. Il legale che rappresenta le figlie è Ismail Ayob, storico difensore degli attivisti anti-apartheid che per un lungo periodo fu uno dei pochi ad entrare nel carcere di Robben Island per vedere Mandela. E’ anche l’avvocato di Winnie Mandela e l’ha difesa dall’accusa di essere stata complice nell’uccisione di un bambino. Questo stesso legale, del 2005, fu allontanato da Madiba perché accusato di aver venduto senza autorizzazione alcuni suoi quadri autografati: oggi si schiera con le sue figlie contro il vecchio amico.
E poi c’è George Bizos, forse il più grande legale sudafricano, autore di libri e soprattutto, amico personale di Mabida. Contro di lui si è scatenata l’ira delle figlie Mandela, che sostengono che Bizos, insieme ad un imprenditore e un altro avvocato, ha messo in piedi un sistema per aggirare il padre e intascare i soldi dei suoi due fondi per l’infanzia. Zenani e Makaziwe dicono che i tre «devono rassegnare le dimissioni». «Non lavorano con diligenza», accusano: di fatto starebbero intascando soldi a nome di Mandela, usando anche l’impronta della sua mano per stamparla sulle magliette. «Al loro posto dobbiamo esserci noi». Ma gli avvocati della fondazione Mandela ricordano la decisione presa dal leader quando era ancora in grado di decidere da solo: mai le figlie alla testa della sua fondazione.
E’ facile capire quel che c’è dietro questa vicenda di soldi e potere: troppo il denaro e troppi attori in gioco.
E su tutto Mandela. Debole, accudito della terza moglie, Graca Machel, con in testa i ricordi di una avventura che si chiama il Sudafrica arcobaleno e che ora è scomparso. I suoi ricordi si scoloriscono man mano, difficile che capisca quello che gli sta avvenendo intorno. L’ultimo video che lo ritrae, nemmeno un minuto di girato, è stato diffuso – accusa la famiglia – solo ad uso del presidente Jacob Zuma: rappresenta Mandela all’uscita di un altro passaggio in ospedale circondato dalla leadership dell’Anp. Il Premio Nobel appare scuro in volto, ma incapace di muoversi: come a chiedersi cosa stessero facendo tutte quelle persone intorno a lui. Sulla poltrona, la coperta sulle ginocchia, il vecchio leader non dice più niente: è prostrato, stanco, i ricordi confusi. Certo non pensa ai soldi che le figlie cercano di portargli via.


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