Ma l’esito dell’offensiva legittima Palazzo Chigi

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Essere additato come il nuovo bersaglio dal padre-padrone del Movimento 5 Stelle legittima quasi di rimbalzo l’ex vicesegretario del partito democratico come punto di raccordo della coalizione. E dirotta all’esterno e non più all’interno dell’esecutivo tensioni che negli ultimi giorni sono cresciute sull’Imu, la giustizia, e per la vigilia del congresso del Pd.
Se Grillo attacca il premier, c’è da ritenere che abbia un’oscura paura che riesca a combinare qualcosa. Ieri ha cercato di provocarlo dicendo che «Letta per venti anni ha fatto il nipote di suo zio», alludendo a Gianni, braccio destro da sempre di Silvio Berlusconi. «Veramente, da 46», è stata la replica ironica di Enrico, che ha citato la propria età . Ma soprattutto, Letta ha puntato il dito contro i problemi che Grillo incontra per convincere i suoi eletti a ridursi la diaria. Forse, la vera ragione degli insulti dipende dalle difficoltà  grilline sul tema degli stipendi dei parlamentari.
Già  durante le consultazioni, l’allora presidente incaricato aveva messo in difficoltà  i capigruppo del M5S a Camera e Senato, mostrandone le contraddizioni e chiedendo loro di non isolarsi. Stavolta, la questione è più delicata. «Io toglierò lo stipendio ai miei ministri. Vedo che Grillo invece fatica a non far prendere la diaria intera ai suoi parlamentari che si ribellano contro di lui», lo incalza Letta. Che il tema esista non c’è dubbio; e che preoccupi i vertici del movimento l’ha confessato lo stesso leader. «Una differenza di poche migliaia di euro trattenute potrebbe sembrare un peccato veniale, ma non lo è. Nessuno ci fa sconti. Il Paese ci osserva».
«Houston abbiamo un problema! Di “cresta”, va ammesso», ha avvertito Grillo con parole colorite e allarmate sul suo blog, dopo avere annullato una conferenza stampa a Roma. E ha ripetuto che chi tiene tutti i soldi dovrebbe trarne le conseguenze. Il solo fatto che sia costretto a minacciare espulsioni testimonia un affanno. La cosa peggiore, tuttavia, è che le beghe economiche fra Grillo e i suoi parlamentari hanno finito per accreditare di nuovo un Movimento 5 Stelle disunito e non solo eterogeneo; e per mettere in ombra i suoi attacchi al governo. È stata rispolverata la tesi del golpe: «Ci hanno messo in un angolo, questo è un colpo di Stato». Ma perfino Stefano Rodotà , il suo candidato al Quirinale, ha preso le distanze da questa tesi. Grillo poi ha definito Berlusconi «una salma. In un Paese normale sarebbe già  in galera». Per paradosso, sono spallate che potrebbero puntellare palazzo Chigi: nonostante i malumori di alcuni settori del Pd che guardano tuttora al M5S. «Il governo Letta è fragilissimo, ma come diceva Salvemini, è una scommessa da confermare ogni giorno», lo benedice il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello. E Grillo, senza rendersene conto, forse lo sta aiutando.


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