L’Ue prepara una stretta sui paradisi delle imprese
BRUXELLES — L’Ue intende imporre alle imprese multinazionali di dichiarare quanto versano al Fisco dei singoli Paesi dove hanno sedi. In questo modo emergerebbe la loro imposizione complessiva e si potrebbe iniziare a contrastare le cosiddette strategie fiscali «aggressive», che minimizzano il pagamento delle tasse ricorrendo ai paradisi fiscali.
Il commissario Ue per il Mercato interno, il francese Michel Barnier, per evitare i tempi lunghi delle procedure comunitarie, ha proposto di estendere alle multinazionali le norme varate per garantire una maggiore trasparenza sulle banche. Queste dal 2015 dovranno già rendere noti introiti e tasse versate nei singoli Stati dove operano, insieme a eventuali aiuti pubblici.
L’irritazione provocata tra i contribuenti dalle rivelazioni giornalistiche sulle basse imposte pagate da grandi imprese di fama mondiale, grazie soprattutto all’uso dei paradisi fiscali, ha convinto la Commissione europea a trovare questa soluzione contro la grande evasione ed elusione. Un gruppo può ridurre al minimo la pressione del Fisco stabilendo la sede in paradisi come Lussemburgo o Dublino e poi triangolando operazioni infragruppo con consociate disseminate tra Montecarlo, Channel Islands, Svizzera, Bahamas, Singapore e altre piazze offshore, che tra l’altro garantiscono la massima riservatezza sui capitali arrivati o in transito. L’obiettivo della Commissione europea è evitare il ripetersi di casi tipo quello del colosso Apple, a cui un rapporto del Senato di Washington ha attribuito pagamenti di imposte bassissime su una massa enorme di miliardi di dollari grazie al trasferimento di profitti (consentito) nel regime a tassazione privilegiata dell’Irlanda.
Da tempo a Bruxelles annunciavano interventi contro le strategie fiscali «aggressive» delle multinazionali. Ma finora si era rimasti ai proclami politici vaghi. La determinazione del presidente Usa Barack Obama contro la grande evasione dei ricchi e delle imprese, tramite le piazze offshore, ha imposto una accelerazione anche ai governi europei. In ballo c’è una somma enorme. Le stime della Commissione europea parlano di circa mille miliardi sottratti annualmente al Fisco dei 27 Paesi membri. Una parte ingente appare proprio quella incamerata dalle multinazionali spesso in modo assolutamente legale, grazie a legislazioni nazionali tuttora molto permissive verso lo spostamento degli utili nei paradisi fiscali con segreto bancario.
Dalla fine degli anni Ottanta molte grandi imprese italiane hanno domiciliato holding in Lussemburgo. In seguito c’è stata un po’ di diversificazione tra Irlanda, Belgio, Olanda e Madeira, da dove si dipanano galassie di società sparse nei paradisi fiscali di mezzo mondo. Triangolando sapientemente i profitti, tra i regimi a più bassa tassazione, al Fisco resta poco. A indignare molti cittadini europei è stata soprattutto la scoperta che l’aliquota fiscale reale su grandi imprese spesso diventa molto più bassa di quella sui loro stessi dipendenti.
Nel summit Ue Austria e Lussemburgo, gli ultimi due Paesi membri difensori del loro segreto bancario, hanno frenato. Non hanno consentito il via libera immediato alla revisione della direttiva Ue contro l’evasione delle tasse dei cittadini europei non residenti. L’accordo è stato di rinviare non oltre fine anno. Ma il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker continua a fare ostruzionismo per slittare almeno al 2015. Condiziona lo scambio automatico di informazioni fiscali (con conseguente addio al segreto bancario) ad analogo accordo con la Svizzera e agli altri paradisi europei. In pratica, se Berna, Montecarlo o San Marino si arroccassero, bloccherebbero di conseguenza tutta l’azione Ue contro i paradisi fiscali. Juncker è sostenuto dai Paesi con analoghi privilegi fiscali. Ma la crisi sta imponendo a Francia, Italia e ad altri Stati di recuperare gettito. Barnier in pratica aggirerebbe il no del Lussemburgo puntando direttamente alla sua clientela di multinazionali. Bruxelles ha imposto più trasparenza alle banche per controllarne la solidità . L’ha poi estesa alle imprese energetiche ed estrattive per scoraggiare l’uso di tangenti. Ora tocca alle multinazionali con sedi nei paradisi fiscali.
Ivo Caizzi
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