«Palestina» in homepage, Google fa irritare Israele
Lo Stato però ancora non risulta sulle mappe online del colosso digitale, che restano ferme alla formulazione Cisgiordania, indicata da una linea tratteggiata senza confini definitivi tracciati. «Cambieremo il nome su tutti i nostri prodotti», commenta Nathan Tyler, portavoce di Google. Che spiega: «Prima della modifica, abbiamo consultato le organizzazioni internazionali: dall’Onu all’Icann, che definisce i domini Internet».
Sabri Saidam, consigliere del presidente palestinese Abu Mazen, esulta per la decisione e la considera tra i primi risultati del voto all’Onu. Il riconoscimento diplomatico nel pianeta virtuale non piace invece agli israeliani. «Google non è un’entità politica — reagisce Yigal Palmor dal ministero degli Esteri — e i dirigenti possono scegliere di chiamare come preferiscono quello che gli pare: non ha valore. Detto questo, dobbiamo chiederci perché abbiano voluto prendere questa posizione e capire se una società privata abbia diritto di entrare in una questione così controversa».
Dopo il voto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, anche il Vaticano ha cominciato a riferirsi allo Stato di Palestina nella corrispondenza e nei comunicati ufficiali, come quello che annunciava i negoziati di gennaio. Per ora a Ramallah hanno stampato i francobolli con la nuova intestazione, ma Abu Mazen ha bloccato l’emissione dei passaporti per paura di divergenze con alcune nazioni e soprattutto di difficoltà ai passaggi di controllo con Israele, dove i soldati potrebbero non riconoscere il documento.
Il governo di Benjamin Netanyahu si è opposto alla decisione dell’Onu e continua a ripetere che uno Stato può nascere solo dopo un accordo e la definizione dei confini. Le trattative sono però congelate da quasi quattro anni. Ieri Tzipi Livni, il ministro della Giustizia incaricata di seguire il dialogo con i palestinesi, è volata a Washington per incontrare John Kerry. Il segretario di Stato americano spinge perché i colloqui ripartano e ha deciso di sostenere quella che viene chiamata «iniziativa di pace saudita», anche perché adesso la Lega Araba ha annunciato di essere pronta a inserire dei cambiamenti nel piano: scambi di territori che potrebbero permettere a Israele — come chiede — di mantenere il controllo sui grandi blocchi di insediamenti.
Davide Frattini
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