Libia, le milizie dei ribelli assediano i palazzi del governo

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LA LIBIA è entrata in una fase critica, delicatissima. Da alcuni giorni uomini armati di quelle milizie che hanno sconfitto Gheddafi hanno deciso di circondare alcuni ministeri a Tripoli. Sono riusciti ad imporre al parlamento l’approvazione della legge sull’“Isolamento Politico”. È una sorta grande epurazione di tutti i politici e i funzionari pubblici che abbiano lavorato negli anni scorsi con governo di Muammar Gheddafi.
La legge è passata domenica, e da allora le milizie hanno alzato il tiro. Pretendono che anche il primo ministro Ali Zeidan oltre al presidente del Parlamento
(capo dello Stato provvisorio) Mohamed Megharief lascino i loro incarichi. L’accusa per i due è quella di aver servito per pochi anni nella diplomazia di Gheddafi, 30 anni fa, prima di fuggire dal paese ed essere costretti all’esilio, inseguiti e minacciati dalle squadre della morte sguinzagliate in giro per il mondo dal Colonnello.
Per mettere sotto pressione il Parlamento, la scorsa settimana le milizie avevano circondato il ministero degli Esteri e quello della Giustizia. Non sono soltanto alcuni gruppi integralisti vicini alle correnti dei salafiti, ci sono soprattutto i combattenti di Misurata, città -martire della resistenza contro Gheddafi, i cui capi sono lontani mille miglia dalle posizioni degli integralisti. «Siamo decisi ad andare fino in fondo, fino alle dimissioni di Ali Zeidan», dice uno dei capi della protesta, Osama Kaabar, leader di uno dei gruppi integralisti e candidato in ottobre al posto di primo ministro. Lo stesso vuole Abdulrahman Suwheli, il leader politico di Misurata, considerato un questa fase uno dei più forti fra i capi “giacobini” che chiedono di andare avanti fino in fondo con la de-gheddafizzazione.
Ieri un giornalista della France Presse che ha parlato con i miliziani schierati al ministero della Giustizia si è sentito rispondere da quelli che si preparavano a togliere l’assedio ai palazzi del potere, «ma la nostra lotta andrà  avanti». Oltre ai due presidenti, i miliziani vorrebbero far fuori il ministro e il vice-ministro degli Esteri, tra i 20 e i 40 deputati e soprattutto moltissimi funzionari che in un modo o nell’altro stanno assicurando il funzionamento dello stato libico.
Il problema è che lo Stato, le istituzioni libiche esistono, ma sono assolutamente deboli e incapaci di farsi rispettare. Sia il presidente Megharief (rientrato da poco a Tripoli dopo un intervento chirurgico in Germania) che il premier Ali Zeidan vengono riconosciuti internazionalmente come seri, competenti, preparati e soprattutto onesti. Ma sono debolissimi militarmente: la vera forza militare in Libia è nelle mani delle bande, dei gruppi organizzati, delle milizie.
Fra queste le più pericolose sono le milizie islamiche. Da Ansar Al Sharia in Cirenaica (il gruppo responsabile dell’attacco al consolato americano di Bengasi), a gruppi legati direttamente ad Al Qaeda, che fra l’altro si stanno rifugiando nel Sud della Libia dopo i combattimenti avviati dall’esercito francese in Mali. La settimana scorsa il presidente ciadiano Idriss Deby, che in Mali ha mandato 2000 soldati guidati personalmente da suo figlio per combattere Al Qaeda, ha denunciato l’inerzia del governo di Tripoli. «I jihadisti si sono sposati nel Sud della Libia, e il governo di Tripoli non fa nulla», accusava Deby. Una Libia in cui l’incertezza politica e militare continui ancora a lungo non potrà  che vedere radicalizzarsi la presenza dei nipotini africani di Al Qaeda.


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